domenica 27 novembre 2011

La ballata di Nick e Bart

di Domenico Latino

Una vecchia enciclopedia e il suo primo volume, due pagine dai contorni ingialliti, un ritratto abbozzato su sfondo rosso: un volto rigido, l’espressione severa, due baffoni austeri che potrebbero nascondere le più intense e forti emozioni; l’altro un omino fine e gentile, bombetta e cravattino, dall’aria inquieta e intimorita. Poche parole, tanta politica. È questo il ricordo sbiadito che avevo di Sacco e Vanzetti: italiani, immigrati, anarchici, innocenti e giustiziati. Poche nozioni, essenziali, forse.
Sono convinto, decisamente convinto, che scrivere, ugualmente che si esprimi un concetto su un pezzetto di carta con un lapis o che si collabori a un giornale attraverso una tastiera e un quindici pollici, rappresenti un modo per essere se stessi e offrirsi agli altri. Io penso che un diario si scriva nell’intimità della solitudine, in un distacco totale, essendo certi che non lo leggerà mai nessuno ma sperando mentre lo si nasconde che qualcuno prima o poi lo trovi. Si può dire di come siamo, dei nostri pensieri, delle nostre gioie, dei nostri dolori, delle certezze o delle paure. Si possono descrivere dei luoghi, dei paesaggi, spazi, sensazioni, esperienze belle, brutte, personali. Si può parlare di personaggi fantastici,  immaginari o di persone realmente esistite, delle loro avventure, delle loro vicende, del loro coraggio, della loro viltà. L’importante è, essenzialmente, essere sinceri e non frenare la voglia di comunicare le proprie passioni, i propri sentimenti. Quando si vuole parlare di un fatto così serio quanto vero, così profondo quanto tragico, come quello che sto per esporvi, bisogna essere però, effettivamente documentati e molto obiettivi. Qui sta il fascino del giornalismo: informarsi per informare, studiare per conoscere quello di cui prima non si era a conoscenza, imparare soprattutto a conoscere se stessi per mostrarsi con precisione agli altri. Ed ecco che allora il mio ricordo sbiadito diventa cognizione, e le mie riflessioni emergono precise. Vi racconterò dunque di Nick & Bart, della loro triste storia e del suo tragico epilogo.
Bartolomeo “Tumlin” Vanzetti nacque nel 1888 a Villafalletto in provincia di Cuneo: “Occorrerebbe un poeta di prima grandezza per parlarne degnamente, tanto è bello, indicibilmente bello…vi è il canto degli uccelli; ci sono i merli neri, i merli delle stoppie d’oro e dall’ugola ancora più d’oro; i rigogoli, i fringuelli, di tutte le varie specie; gli ineguagliabili usignoli, gli usignoli soprattutto. Eppure, credo che la meraviglia delle meraviglie, nel mio giardino, siano ai bordi dei suoi sentieri: centinaia di specie diverse di erba, di foglie, di fiori selvatici, testimoniano, là, il genio onnipotente dell’Architettura Universale, dando riflesso al sole, alla luna, alle stelle, con tutte le loro luci e i loro colori. Là, i non ti scordar di me sono in folla, e in folla sono le margherite selvatiche”. Così Bart guardava, dietro le sbarre, con rimpianto al giardino paterno di Villafalletto. Era figlio di un agricoltore. Aveva lavorato a Cuneo, Cavour, Torino come apprendista pasticciere entrando in contatto con garzoni di idee socialiste. A vent'anni era rientrato al paese ma la morte della mamma, Giovanna, cui era legatissimo, lo sconvolse e, straziato, decise di lasciare tutto e di partire per l’America. Sognava una vita migliore; speranza diffusa e spesso vana degli italiani dei primi del Novecento. Era il 9 giugno del 1908. Stabilitosi nel Massachussetts, svolge diversi mestieri, conosce affanni e sofferenze, legge avidamente libri e giornali, e milita, a Plymouth, nel gruppo anarchico “Cronaca sovversiva” fondato da Luigi Galleani. Nel 1917, per sfuggire all'arruolamento, si trasferisce in Messico dove stringe amicizia con Nicola Sacco anche lui militante dello stesso gruppo a Milford. I due divengono inseparabili. Bartolomeo ha l'età di Sabino, il fratello con il quale Nicola è emigrato da Torremaggiore (FG) nello stesso anno di Vanzetti, il 1908. Tornati negli Stati Uniti i due prendono nuovamente a frequentare i circoli anarchici, oramai decimati dai rastrellamenti ordinati dall’allora ministro della giustizia Palmer contro i “sovversivi”. Era quello un periodo della storia americana caratterizzato da una forte paura dei comunisti. La rapida sensibilità politica della sinistra nei confronti di larghe masse di lavoratori di recente immigrazione e la loro sindacalizzazione insieme allo spettro della Rivoluzione Bolscevica avevano spaventato la classe conservatrice americana e suscitato nei ceti ricchi della società la psicosi di incombenti rivolgimenti sociali. A breve Sacco e Vanzetti sarebbero stati vittime dell’isterismo collettivo che si era impossessato dell’opinione pubblica borghese e delle istituzioni giudiziarie. Entrambi non avevano mai avuto precedenti con la giustizia ma erano conosciuti dalle autorità locali come radicali coinvolti in scioperi, agitazioni politiche e propaganda contro la guerra. Un giorno, Nicola Sacco si trovò a rispondere così, in aula, all’implacabile procuratore Katzmann: “In Italia, ancora da ragazzo, ero repubblicano, sempre pensando che con i repubblicani c’era maggiore probabilità di avere istruzione, progredire, farsi un giorno o l’altro una famiglia, allevare e fare studiare i figli, se si poteva. Era il mio modo di pensare; così, venuto qui, in questo Paese, ho visto che non era come credevo e che la differenza si fermava lì, perché ho lavorato meno duro in Italia che qui. […] Ho visto i  migliori, con intelligenza, istruzione, essere arrestati e mandati in prigione e starsene a morire in prigione per anni ed anni senza essere tirati fuori, […] la classe capitalista non vuole che i nostri figlioli vadano alle scuole superiori, alle università, a Harvard. Non dovranno mai esserci possibilità, non dovranno, no. Loro non vogliono l’istruzione della classe lavoratrice; vogliono che la classe lavoratrice sia in basso, sempre, sia sotto i piedi e non alzi la testa. […] amo che la gente fatichi e lavori e veda progredire ogni giorno migliori condizioni, non faccia più guerre. Non vogliamo combattere col cannone, e non vogliamo che si ammazzino i giovani. La madre ha sofferto per tirar su il giovane. […] Quale diritto abbiamo di ucciderci gli uni con gli altri? Ho lavorato per gl’irlandesi, ho lavorato con compagni tedeschi, con i francesi, con tanta altra gente. Amo questa gente quanto posso amare mia moglie, e i miei, perché questa gente mi ha accolto fraternamente. Perché dovrei andare a uccidere quegli uomini? Che cosa mi hanno fatto? Non mi hanno mai fatto nulla, perciò non credo alla guerra. Voglio sopprimere i cannoni…”. Il 24 dicembre 1919, alle 8,20 del mattino, ebbe luogo una tentata rapina a Bridgewater, nel Massachussetts. Bart Vanzetti, nell’istante preciso, si trovava nella panetteria di Luigi Bastoni, a Plymouth, a circa quarantotto chilometri dal luogo in cui la suddetta tentata rapina avveniva. Il 15 aprile 1920, alle 15, una banditesca rapina a mano armata fu commessa a South Braintree, sobborgo di Boston, ai danni del calzaturificio “Slater and Morrill” uccidendo il cassiere della ditta e una guardia giurata a colpi di pistola. Anche quel giorno Bart Vanzetti era a Plymouth, a circa cinquantuno chilometri dal luogo del delitto e nell’esatto istante stava parlando con il signor Corl, che sulla spiaggia faceva i preparativi per varare la sua imbarcazione a motore, in vista della nuova stagione di pesca. Nicola Sacco alle 15 del 15 aprile 1920 si trovava al Consolato d’Italia a Boston per farsi rilasciare il passaporto: all’inizio della primavera aveva ricevuto una lettera listata a lutto, annunciante la morte della madre. L’uomo, dichiarò Giuseppe Adrower, impiegato del Consolato, si era presentato ai primi di aprile e gli era stato detto di tornare con due fotografie. Era tornato, il 15, con l’ingrandimento di una foto di famiglia. Adrower ricordava la data perché “era una giornata molto tranquilla al Regio Consolato d’Italia, e, perché non mi ero mai visto presentare una foto tanto grande per un passaporto. La presi e andai a farla vedere al cancelliere del Consolato, col quale rimanemmo un momento a commentare il fatto, ridendo. Ricordo di avere osservato la data su un grande calendario a muro, nell’ufficio del cancelliere, mentre parlavamo della foto. Dovevano essere circa le 14 o le 14,15 poiché ricordo di aver chiuso l’ufficio, per quel giorno, circa mezz’ora dopo”. Il 5 maggio del 1920 Nick e Bart dopo una riunione con alcuni compagni anarchici vengono arrestati su un tram fra Brockton e Bridgewater. Bloccati da agenti in borghese, forse informati da una “soffiata”, i due italiani finiscono dentro. Avevano addosso un arsenale. Vanzetti aveva una rivoltella calibro 38, carica, proprio lui che era fuggito nel Messico, non volendo sparare su un proprio simile in guerra! Una rivoltella calibro 38 carica e diverse pallottole, ciascuna delle quali poteva recare morte istantanea. Nicola Sacco fu trovato in possesso di una Colt 32 e trentuno cartucce per arma automatica, nove nel caricatore e altre ventidue in tasca.  
Tre giorni dopo il procuratore legale Gunn Katzman, arrivato da Boston, contesta a Sacco e Vanzetti i reati di duplice omicidio e rapina a mano armata.  E' l'inizio di un “processo di stato” che porterà all'omicidio, sulla sedia elettrica, di Nicola e Bartolomeo, nonostante contro di loro non ci sia alcuna prova certa ma, anzi, numerose testimonianze di innocenza e addirittura la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros che ammette di aver preso parte alla sanguinosa rapina giurando di non aver mai visto Sacco e Vanzetti. Naturalmente non è creduto. Anni dopo il gangster italo-americano Vincent Teresa nella sua autobiografia Piombo nei dadi scrisse che gli autori della rapina erano stati i fratelli Morelli e che uno di questi, Butsey, gli aveva detto: “Quei due imbecilli ci andarono di mezzo. Questo ti mostra cos'è la giustizia!”. Alla base del giudizio di condanna, a parere di molti, vi furono da parte di polizia, procuratori distrettuali, giudice e giuria pregiudizi e una forte volontà di perseguire una politica del terrore. Sacco e Vanzetti venivano considerati due “agnelli sacrificali” utili per sperimentare la nuova linea di condotta contro gli avversari del governo. Vittime del pregiudizio sociale e politico, immigrati italiani con una comprensione insufficiente della lingua inglese, noti per le loro idee politiche radicali. Il giudice Webster Thayer li definì senza mezze parole due anarchici bastardi. Vanzetti, il 19 aprile 1927, in occasione della lettura del verdetto di condanna a morte, ebbe a dire: “Non auguro neanche a un cane, o a un serpente, all’infima creatura della terra; non auguro a nessuno di soffrire come me, per una colpa che non ho commesso. Ma la mia condanna è venuta, perché ho sofferto per cose di cui effettivamente sono colpevole. Sto soffrendo perché sono di sinistra; il che è, effettivamente, vero. Ho sofferto perché sono italiano; ed effettivamente lo sono. E soffro per la mia famiglia e per le persone che amo più che non per me. Ma tanto sono convinto di essere nel giusto, che se aveste il potere di mandarmi a morte due volte, e due volte io potessi rinascere, vivrei nuovamente per fare le stesse cose”. Sette lunghi anni nel carcere di Charlestown vedono una grande mobilitazione in favore di Nick & Bart, con azioni legali, campagne stampa, comitati, appelli (persino di Mussolini). Molti famosi intellettuali, compresi Dorothy Parker, Bertrand Russell, John Dos Passos, Upton Sinclair e H. G. Wells, sostennero una campagna per giungere ad un nuovo processo; l'iniziativa, tuttavia, non approdò ad alcun risultato.
Tutto inutile. Nicola Sacco, 36 anni, viene fulminato da una scarica elettrica alle ore 0,19: sette minuti dopo è la volta di Bartolomeo Vanzetti, 39 anni. E' il 23 agosto 1927. La loro esecuzione innescò rivolte popolari a Londra, Parigi e in diverse città della Germania.
Il 23 agosto 1977, esattamente 50 anni dopo, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis emanò un proclama che assolveva i due uomini dal crimine, dicendo: "Io dichiaro che ogni stigma ed ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, dai nomi delle loro famiglie e dei discendenti e dal nome dello stato del Massachussetts. Invito il popolo del nostro stato a sostare dai suoi eventi in modo da trarre il coraggio per impedire alle forze dell’intolleranza, della paura e dell’odio di unirsi ancora per sopraffare la razionalità e la saggezza cui il nostro sistema legale aspira”.
Cantanti e registi hanno mantenuto vivo negli anni il ricordo di questa dolorosa vicenda. Nel 1946 Woody Guthrie, famoso folksinger americano, pubblicò «Ballads of Sacco e Vanzetti», un lp in cui celebrava il ricordo dei due italiani, simbolo dell'ingiustizia. Anche il cinema ha ricordato la loro storia con un film italo-francese di Giuliano Montaldo del 1971. Gian Maria Volontè e Riccardo Cucciolla, che vestono i panni di Vanzetti e Sacco, sono i protagonisti di una opera cinematografica divenuta presto un cult grazie anche alla colonna sonora musicata da Ennio Morricone e interpretata da Joan Baez, autrice dei testi. «Voi restate nella nostra memoria con la vostra agonia che diventa vittoria»: sono le parole di «Here' s to you» che, insieme alla «Ballata per Sacco e Vanzetti», è entrata nel repertorio internazionale della canzone d'autore sollevando le coscienze negli Usa su un caso dimenticato da molti. È la lettera scritta da Vanzetti al padre, Giovanni Battista, per annunciare la sua carcerazione che ha ispirato Joan Baez. In quella lettera Bart scrive: "Non tenete celato il mio arresto. No, non tacete, io sono innocente e voi non dovete vergognarvi. Non tacete ma gridatelo dai tetti, del delitto che si trama al mio danno...No, non tacete che il silenzio sarebbe vergogna".
La crudele conclusione di questa storia così infelice mi lascia confuso e avvilito, provo rabbia e sdegno per una così chiara e palese ingiustizia e non posso fare a meno di riflettere sul fatto che l’America è un paese democratico dove tutt’oggi si applica la pena di morte. Non posso fare a meno di ricordare le scene di intolleranza che seguirono l’arresto di Sacco e Vanzetti e quel cartello così bene in vista con su scritto “America for americans” . Gli Usa sono un paese multirazziale, da sempre. Tantissimi immigrati hanno fatto la fortuna dell’America e in special modo gli emigranti italiani. Ma quello che più mi colpisce è la dignità e l’orgoglio che Nicola e Bartolomeo  esprimono fino alla fine, anche davanti alla morte, tanto ingiusta quanto violenta. No ha più importanza la loro innocenza o la loro colpevolezza, non hanno più importanza le carte del processo, i testimoni, credibili o rei  di false deposizioni, i comitati o le manifestazioni. Traspare, soprattutto, da questa storia, un senso di umanità straordinario e una sensibilità unica e sono gli imputati a regalarci queste sensazioni, queste lezioni di vita così preziose. Attraverso le loro difese, le loro lettere, i loro appelli, le loro speranze, Sacco e Vanzetti dimostrano con una semplicità disarmante il loro amore per la vita, per le cose vere della vita. Quella vita giusta per la quale lottavano gli fu tolta senza indugi così brutalmente.

“Mai vivendo l'intera esistenza avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini...Il fatto che ci tolgano la vita, la vita di un buon operaio e di un povero venditore ambulante di pesce...è tutto! Questo momento è nostro quest'agonia è la nostra vittoria!”.
Bartolomeo Vanzetti al suo accusatore nella sua celebre difesa.

mercoledì 23 novembre 2011

Foto del giorno



Mulberry Street, Little Italy, New York, primi del '900

Progetto di collaborazione bilaterale tra il MADRE di Napoli e l'MSU di Zagabria

Oggi, alle ore 18.00 presso il Museo d'Arte Contemporanea (MSU) di Zagabria, verrà inaugurato Babel, un  progetto elaborato da Francesco Jodice, esponente della cultura italiana nel mondo e della sua espressione più contemporanea e realizzato in collaborazione con il museo MADRE di Napoli, con il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria e del Dipartimento per l’Educazione, la Cultura e lo Sport di Zagabria. L’opera di Jodice è contemporaneamente ospite al museo del Prado di Madrid (fino all'8 gennaio prossimo, vedi:   http://www.italiannetwork.it/news.aspx?id=30499) e dal 23 novembre al MSU di Zagabria. La mostra “Babel” è curata da Radmila Iva Jankovic, Adriana Rispoli e Eugenio Viola, gli ultimi due anima del Museo Madre di Napoli.
Babel trasforma l’ampia facciata multimediale del museo croato in un blog a cielo aperto, in un dispositivo di interfaccia sociale (Babel: babel-zagreb.blog.hr e-mail: babel@msu.hr sms 099 849 5532 Fb Babel Zagreb) che permette ai cittadini di Zagabria di esprimere pubblicamente intenzioni, strategie, volontà, dissensi, desideri e intolleranze inerenti la loro città e le criticità politiche, economiche e sociali ad essa connesse. Il blog è attivato tramite diversi meccanismi di ricezione che raccolgono le opinioni dei cittadini sui temi più disparati inerenti la loro comunità.
Lo schermo diventa lo specchio temporaneo, il termometro del sentire urbano che da individuale diventa collettivo restituendo, per 10 giorni la cronologia della discussione. In pratica, Jodice, servendosi della potenzialità virale dei social network e strumentalizzando la liberalità dei blog la piega ad un progetto artistico con l'obiettivo di segnalare in tempo reale, e in scala monumentale, gli umori e le forze antropiche di una città in transizione come Zagabria.
Alle ore 18:30 sarà proiettato nella sala Gorgone del MSU il film documentario di Jodice DUBAI CITYTELLERS (film, 58', 2009). Il film ha come soggetto il più famoso caso di neourbanismo contemporaneo. Le immagini ritraggono le ambiguità di questa metropoli, costruita e progettata come una cattedrale nel deserto e che ha vissuto in pochissimi anni un'insostenibile espansione economica sfociata nella recente crisi.
Francesco Jodice (Napoli,1967), vive e lavora a Milano. La sua indagine è rivolta all’analisi dei rapporti fra il comportamento sociale e il paesaggio urbano, indagato in diversi ambiti geografici. È membro fondatore di Multiplicity, network internazionale di architetti e artisti che sviluppa ricerche interdisciplinari sui processi di trasformazione della condizione urbana e del comportamento sociale. Ha partecipato a numerose mostre internazionali, tra cui: XI edizione di Documenta, Kassel (2002); Biennale di Venezia (2003); Liverpool Biennial (2004); Bienal de São Paulo (2006). E ancora: Museo Madre di Napoli (2010); Museion di Bolzano (2009); Reina Sofia, Madrid (2008); Castello di Rivoli, Torino (2008);Tate Modern, Londra (2007); Maison Européenne de la Photographie, Parigi (2006).
Chi volesse partecipare al progetto con le proprie idee ed impressioni, può inviare i propri commenti anche al seguente blog: http://babel-zagreb.blog.hr/2011/11/index.html Per ulteriori informazioni e per gli altri possibili metodi per interagire con BABEL, consultate il sito:

IL FIORE ALL'OCCHIELLO DELL'EDITORIA ITALIANA PER RAGAZZI ALLA FIERA DEL LIBRO DI BUCAREST

BUCAREST - Tra le personalità italiane che parteciperanno alla Fiera Internazionale del libro di Bucarest "Gaudeamus", dove l'Italia è quest'anno "Paese Ospite d'Onore", ci sarà anche l'editore ligure Augusto Vecchi, che è stato invitato personalmente dall'ambasciatore d'Italia a Bucarest, Mario Cospito, a tenere una conferenza con gli editori romeni.
La casa editrice spezzina, che pubblica libri per bambini in 40 Paesi del mondo in oltre venti differenti lingue, è considerata il fiore all'occhiello dell'editoria per ragazzi. Già nel 2008 era stata scelta dai Ministeri per i Beni e le Attività Culturali e degli Affari Esteri per rappresentare l'Italia Ospite d'Onore alla Fiera del libro di Guadalajara in Messico.
"Sono onorato e ringrazio ufficialmente l'ambasciatore Cospito per il personale invito", ha dichiarato Augusto Vecchi alla vigilia della sua partenza. "Sarà un'altra occasione per mostrare l'eccellenza della creatività italiana e parlare anche del futuro dell'editoria digitale". A Bucarest, ha annunciato l'editore, "mostrerò ai colleghi la nostra ultima App, una applicazione per iPad completamente interattiva e realizzata totalmente in Italia, ma che non ha nulla a che invidiare a quelle realizzate negli Usa o in Giappone".
"Sea, Mare, Mar" - questo il nome dell'applicazione -  è disponibile su Apple Store/iTunes da pochi giorni e già ha riscontrato un notevole interesse in mezzo mondo... già perché è disponibile anche in lingua cinese.
Alla Fiera Gaudeamus, che proseguirà sino a domenica 27 novembre, parteciperanno le più importanti case editrici romene e varie organizzazioni ed istituzioni culturali operanti in Romania. La Fiera verrà inaugurata dalle massime autorità politiche romene. Interverranno l’ambasciatore d’Italia, Mario Cospito, il direttore relazioni Istituzionali e Internazionali della Rai, Marco Simeon, e il presidente dell’Aie, Marco Polillo, che parteciperà anche a una tavola rotonda per presentare una fotografia del settore.
Il programma della presenza italiana, curato dall’Ambasciata d’Italia a Bucarest insieme all'Aie e all'Istituto Italiano di Cultura, prevede lo svolgimento di decine di incontri, dibattiti e conferenze che vedranno la partecipazione di un nutrito gruppo di scrittori, critici letterari, giornalisti, storici, filosofi e manager dell’editoria e dei media radiotelevisivi, invitati dall’Ambasciata ad animare i cinque giorni della Fiera. Presidente onorario della presenza nostrana è stato nominato Luciano de Crescenzo. Saranno presenti inoltre lo storico Valerio Massimo Manfredi, l’enologo Luca Maroni, Stenio Solinas, Andrea G. Pinketts, Giorgio Montefoschi, Stefano Zecchi e Francesco Guida. Un nutrito programma di interventi nel campo degli studi storici e letterari è stato inoltre disposto dal Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bucarest. Sarà anche allestito un "angolo turismo", nel quale il direttore dell'Ufficio Enit di Vienna, competente anche per la Romania, presenterà varie pubblicazioni del settore.
La partecipazione dell’Aie, del Ministero degli Affari Esteri e dell’Istituto Italiano di Cultura ha consentito la partecipazione alla Fiera di oltre trenta case editrici italiane, con uno stand espositivo e di vendita di 150 metri quadrati, in cui sarà presente anche un'area destinata allo scambio diritti per gli editori presenti. Sarà la più ampia e completa selezione del panorama editoriale italiano mai presentata in Romania, con le novità editoriali, i best seller, i classici e le edizioni economiche. Di particolare interesse, la sezione riservata ai libri per l’infanzia e l’ampia selezione di manuali dedicati all’insegnamento della lingua italiana. (aise)

A TORONTO LA "SETTIMANA LAZIALE" ORGANIZZATA DALLA FEDERAZIONE LAZIALE DELL’ONTARIO


TORONTO - Successo a Toronto per la "Settimana Laziale" organizzata dalla Federazione Laziale dell’Ontario, per festeggiare il 25mo anniversario di fondazione. Per l’occasione sono giunti in Canada l’assessore regionale alle politiche sociali e della famiglia Aldo Forte e il presidente della Commissione Lavoro, Maurizio Perazzolo, a capo di una delegazione composta da sette persone.
Durante la serata, l`assessore Forte ha presentato il piano per i laziali nel mondo.
"Noi come assessorato stiamo investendo su tre progetti. Il primo – ha spiegato Forte – sono i corsi di lingua online. Finora avevamo finanziato l’Istituto Dante Alighieri di Toronto, ma ci siamo accorti che in un Paese grande come il Canada questo servizio non era accessibile a tutti. Oggi invece – ha continuato - abbiamo una piattaforma multimediale - la “World Wide Learning” - con cui si possono frequentare corsi di 120 ore con professori universitari, corsi divisi per grado di difficoltà, alla fine dei quali si può sostenere un esame presso i consolati, che danno poi certificati. Pensiamo che la lingua sia il primo link per le nuove generazioni, per risvegliare in loro una passione e un interesse nei confronti dell’Italia".
"Abbiamo creato un social network (http://peopleoflazio.it/) – ha proseguito l’assessore – a cui è possibile già iscriversi e che sarà presentato il 15 gennaio 2012, Giornata mondiale del migrante. In questo modo si potrà condividere il proprio vissuto, con foto e storie, e non perdere questo patrimonio. Il terzo progetto invece riguarda l’investimento di 5 milioni di euro per l’Ostello dell’emigrante laziale. Stiamo ristrutturando un antico monastero benedettino che, oltre ad ospitare un museo multimediale sull’emigrazione laziale, diventerà un centro regionale per i nostri migranti, giovani o meno giovani, che vogliono tornare nei Paesi d’origine. L’ostello si trova a Formia, nel Lazio meridionale, la zona che ha conosciuto l’emigrazione più massiccia".
Per questi progetti, ha sottolineato Forte, "sono stati stanziati 5,5 milioni di euro. Circa otto volte tanto di quello che si investiva nel 2008-2009".
La delegazione laziale ha quindi incontrato gli imprenditori laziali e partecipato al Gran Gala offerto da Regione e Federazione, presso il Montecassino Place.
Per celebrare degnamente i venticinque anni di esistenza, la Federazione ha premiato con un attestato al merito tutti i presidenti che negli anni si sono succeduti alla guida del sodalizio. Ai premiati è stata donata anche una copia del libro "Laziali in Canada" scritto da Vittorio Coco e Tony Porretta. Questi i presidenti premiati: Ron Zeppieri, deceduto prematuramente, Aldo Boccia, Felix Rocca, Enio Zeppieri, Caroline Di Cocco, Antonio Porretta, Amerigo Mazzoli, Vittorio Scala e l`attuale presidente Vittorio Coco.
Altri 20 attestati sono stati consegnati a membri delle associazioni laziali, vivi e scomparsi, per il grande lavoro svolto a promuovere l`associazionismo in Canada.
Hanno ricevuto questo riconoscimento Domenico De Carolis dell’Amaseno Cultural Club; Leonardo Cianfarani (scomparso) dell’Anfe Lazio; Antonio Abbruzzese delle Famiglie Ambrosiane; Eric Mattei dell’Associazione Cattolica Colle Berardi di Veroli; Giovanni e Virginia Quattrociocchi (scomparsi) dell’Associazione Cattolica Santa Francesca Romana di Veroli; Sante Caringi dell’Associazione Culturale di Castelliri; Vittorio Zannella del Club Campodimele di Toronto; Luciano Massarella della Canneto Society; Dario D’Angela (scomparso) del Casalvieri Social Club; Dino Di Palma del Ceprano Club; Gennaro Minchella (scomparso) del Cervaro Cultural Club; Raffaele Ciotti del Roccagorga Social & Cultural Club of Canada; Donato Tramontozzi del Club San Donato Val Comino; Gaetano Baldesarra della Società San Marco; Mario Lorini del Sora Club di Toronto; Roberto Bonanni del Supino Cultural Club; Nazzareno Tesa e Mario Patriarca del Terelle Social Club; Lorenzo Zeppieri del Veroli Cultural Society e Enrico Farina (scomparso) dei Laziali nel Mondo.
Inoltre, per la prima volta nella sua storia, la Federazione ha voluto istituire il "Premio Laziale dell`Anno": a riceverlo è stato l`imprenditore Mario Di Pede, fondatore della Spring Town Homes.
Di Pede è nato  a Sora in provincia di Frosinone ed è arrivato in Canada nel 1953 a bordo della nave Homestead.
Nel suo indirizzo di saluto ai più di 400 invitati al Gala, il presidente Coco ha ribadito l`importanza dell`associazionismo laziale in Canada.
"Siamo partiti 25 anni fa con ambizioni e aspirazioni per i laziali in Canada, siamo consapevoli che il nostro mandato è in scadenza – ha detto il presidente – domani dobbiamo passare il testimone ai giovani. Per noi è un atto dovuto".
Dal canto suo, il consultore Tony Porretta si è detto "molto soddisfatto" di questa tre giorni e ha assicurato che "lavorerà intensamente con la Federazione, le associazioni e l`assessore Forte, per rinnovare sia l`assetto dirigente delle associazioni, sia per i programmi indirizzati alle nuove generazioni laziali in Canada". (aise)

venerdì 18 novembre 2011

A San Martin, Mendoza, l'italianità scende in Piazza

San Martin, Mendoza, Argentina. Domenica sera, 20 novembre, alle ore 20 la piazza Italia di San Martin si vestirà di rosso, bianco e verde in occasione della “XVII Festa in piazza di San Martin”, la festa della comunità italiana più importante del Este Mendocino.  Anno dopo anno, l’ Associazione Italiana Dante Alighieri di San Martin, attraverso questo festival meraviglioso, riconosciuto di interesse culturale dal nostro Municipio e dalla HC dei Deputati, cerca di radunare tutto il popolo di Mendoza per godere di una notte piena di buona musica, tipica cucina italiana, intrattenimento, arte e di un’ intera gamma di prodotti fabbricati da aziende italiane nella nostra regione. Quest’anno, il centro della piazza si riempirà di buona musica italiana, con l’esibizione esclusiva del cantante italiano Stefano Guizza e la sua band, in questi giorni in tour nella nostra regione. Domenica sera suoneranno per noi. Saranno eseguiti anche altri spettacoli artistici con gruppi di danza e musicisti, per valorizzare l’impronta della cultura italiana sulla musica dell’Argentina. Le strade saranno inebriate dai profumi degli stand gastronomici tipici italiani, allestiti dalle famiglie italiane del Este Mendocino e dalle imprese con origini italiane e i vostri palati potranno gustare i migliori sapori italiani. Ad arte e cultura sarà dedicato uno spazio esclusivo così da scoprire al meglio i grandi artisti di questa regione. La Dante Alighieri di San Martin, Associazione Italiana che per oltre 23 anni si è dedicata alla diffusione della lingua e cultura italiana, farà in modo che tutti i partecipanti possano conoscere, con diverse modalità, la lingua di Dante, i paesaggi, l’arte e tutta la cultura italiana. Alla manifestazione prenderanno parte anche ospiti speciali che illustreranno tutto ciò che di buono il nostro Dipartimento può offrire al mondo. Sarà una domenica da godere con la famiglia e da scoprire, per tutti i giovani che sono molto vicini all’Italia. L’evento è stato organizzato dall'Associazione Italiana di San Martin Dante Alighieri con il supporto delle famiglie italiane di East Mendocino (siciliane, friulane, campane, piemontesi, lombarde, liguri, Istituto Casa di Maria), del comune di General San Martin e delle sue varie compagnie aeree, del Consolato Italia in Mendoza e degli imprenditori di origine italiana, sempre presenti. Sarà una serata lieta e piena di sorprese.
Per info:
www.facebook.com / dantealighierisanmartin                          
fax:0054-2623426871
e-mail:
dantealighierism@yahoo.com.ar

Región de Cuyo (Argentina). A puro rock italiano con Stefano Guizzo.


Dal 18 al 30 novembre, il cantautore italiano Stefano Guizzo sarà in giro per la regione di Cuyo. La tournèe “Stefano Guizzo in concerto” comprende 5 concerti, ed è stata un’iniziativa della FE.C.I.C.L.I. (Federazione Cuyana per l’insegnamento della Cultura e la Lingua Italiana), con la collaborazione del Consolato d’Italia a Mendoza.


Stefano arriva in Argentina per presentare il suo ultimo lavoro discografico “Il mio Rock” .





Di seguito la programmazione dei concerti:

Venerdì 18 Novembre, ore 21: centro Italiano di Mendoza, conferenza stampa  e canzoni in formato acustico.
Sabato 19 Novembre, ore 21: recital a San Rafael presso il Teatro Griego. Biglietti: $ 20.
Domenica 20 Novembre dalle ore 20: festa in Piazza di San Martín, proposta gastronomica italiana con vendita di piatti tipici e realizzazione di spettacoli musicali. Entrata libera e gratuita. Gruppo di supporto: "Senza Vergogna", covers in italiano.
Mercoledì 23 Novembre, ore 21:30: recital in Mendoza presso La Nave Cultural. Entrata libera e gratuita. Gruppo di supporto: "Senza Vergogna" covers in italiano.
Venerdì 25 Novembre, ore 22: recital nella provincia di San Luis al Festival "San Agustín Rock" presso il Colegio San Agustín.
Sabato 26 Novembre, ore 22:30: Recital nella città di Villa Mercedes (San Martín), presso la Società Italiana di Villa Mercedes.

La regione delle province di Mendoza, San Juan e San Luis.
La regione di Cuyo è costituita dalle province andine di Mendoza e di San Juan e da quella confinante di San Luis. Questa zona conserva una forte identità locale e la sua popolazione meticcia testimonia l'influenza del vicino Cile. Dedita soprattutto all'agricoltura e famosa per le sue uve e per il suo vino, quest'area si trova ai piedi della massiccia catena andina e offre molte opportunità di attività turistiche e sportive quali l'alpinismo e l'escursionismo ad alta quota. Altre attrattive sono costituite dalle aziende vinicole, dai villaggi nascosti tra le montagne e dai centri di Mendoza e San Juan.


Stefano Guizzo inizia la professione nei locali del naviglio Milanese nel 1995. Con la sua chitarra acustica, la voce e quella particolare capacità che lo contraddistingue nell’intrattenere e divertire il pubblico.
Ad oggi si è esibito in più di 500 location di tutta la Lombardia e non solo. Dal 2000 al 2002 ha partecipato alla tournèe Italiana di Maurizio Vandelli (Equipe 84) come cantante, corista e chitarrista ritmico, presenziando ad una diretta televisiva in concerto per la vita in diretta su Rai2 e suonando per il compleanno di Red Ronnie in occasione della presentazione ufficiale della barca Tim Mascalzone Latino.
Dal 2002 al 2009 ha collaborato con Simone Giannaccari, chitarrista virtuoso con il quale ha fondato il gruppo dei  4e40, specializzandosi in musica per eventi come matrimoni e feste private. Nel 2003 ha partecipato al programma televisivo Ciao Splendidi su Tv7 Lombardia.
Ha collaborato inoltre in veste di presentatore alle edizioni 2004 2007 e 2008 del concorso per band emergenti musicando, svoltosi presso il locale Black Horse di Cermenate ed all’edizione 2010 di Music School Festival, concorso nazionale canoro patrocinato dalla Provincia di Milano, svoltosi presso il parco acquatico dell’idroscalo di Milano. Nel 2009 ha pubblicato con la collaborazione dell’arrangiatore e coautore Marco Manara, il disco “canzoni dal mattino” contenente brani musicali inediti dalla Matrice rock rigorosamente in Italiano, riscuotendo un positivo parere sui critici del settore ed ottenendo svariati passaggi radiofonici con il singolo “La canzone del mattino”, contenente brani musicali interamente composti ed interpretati da lui, tutti disponibili in digital download su  iTunes, il più famoso portale di musica al mondo.
Sempre nel 2009, il brano “La canzone del mattino” è stato trasmesso in onda su Radio Reporter, con intervista nel programma “Scostumati” ed altri brani sono stati trasmessi da R.P.L, Rete104 e perfino da radio oltre oceano come LvDiez Radio de Cuyo all’emissione “L’Altra Italia” (www.laltraitalia.com.ar) di Mendoza in Argentina, con intervista in diretta telefonica. Insegna tecnica vocale, privatamente, presso il suo studio a Bovisio Masciago. Effettua anche arrangiamenti, jingles pubblicitari e composizione conto terzi. Attualmente sta lavorando per la realizzazione del suo nuovo album di musica inedita, in collaborazione con Artistic Management di Roberto Venturini.

Per maggiori dettagli:
http://www.facebook.com/#!/pages/Agenda-Italia-Cuyo/147721028655632 
http://www.facebook.com/stefanoguizzo.cantautore
http://www.stefanoguizzo.com/

mercoledì 9 novembre 2011

Radio Colonia: un concorso per i 50 anni della trasmissione

9 novembre 2011 - (COLONIA/Germania)   Radio Colonia, trasmissione in italiano della radio pubblica tedesca WDR, ricorda che il termine ultimo per partecipare al concorso "La mia Italia", organizzato per i festeggiamenti dei 50 anni di trasmissione, è il 15 novembre prossimo.
Sino ad allora i connazionali residenti in Germania sono invitati ad inviare scritti, fotografie, canzoni ispirati al tema "La mia Italia", proposto nell'ambito delle celebrazioni dei 150 anni di Unità nazionale. I migliori lavori vinceranno premi in denaro e verranno presentati, insieme ai loro autori, sul sito internet e nello speciale per i 50 anni di Radio Colonia che andrà in onda il primo dicembre 2011 alle 19 su Funkhaus Europa/Wdr. Le migliori fotografie verranno esposte inoltre in una mostra presso l’Istituto Italiano di Cultura di Colonia.
Estremamente variegato lo spettro dei contributi sino ad oggi giunti per il concorso, dalle storie vere a quelle inventate a cavallo fra Italia e Germania, a paesaggi e personaggi ritratti con affetto e ironia, sino a contraddizioni e contrasti della vita e cultura italiana.
Il concorso, patrocinato dall’Ambasciata italiana di Berlino e dalla Camera di commercio italiana per la Germania, è gratuito, non vi sono limiti di età o nazionalità per partecipare, le opere dovranno essere in lingua italiana e inedite. Sono ammesse anche opere di gruppo. Le opere vanno inviate alla redazione per posta o per e-mail entro e non oltre il 15 novembre. Il regolamento del concorso è pubblicato su http://www.funkhauseuropa.de/italiano

"PLA, 40 ANNI NELL’ARTE": LE OPERE DELL'ITALOARGENTINO EDUARDO PLA AL CENTRO CULTURALE RECOLETA DI BUENOS AIRES

BUENOS AIRES - Sarà inaugurata giovedì, 10 novembre, alle ore 19, presso la Sala Cronopios del Centro Cultural Recoleta di Buenos Aires la grande retrospettiva "Pla, 40 anni d'arte", con cui l’artista italoargentino Eduardo Pla festeggia i suoi 40 anni di artista multimediatico.
La mostra, in programma sino al 4 dicembre, propone un itinerario che si dipana tra la produzione attuale dell'artista, realizzata negli ultimi anni in Argentina, e quella precedente prodotta principalmente all’estero e in particolare di quella realizzata nei 20 anni vissuti in Italia.
La mostra è concepita come l’esibizione simultanea, attraverso i 60 video installati nella sala, di tutte le sue opere prodotte in questo lungo periodo e realizzate con vari mezzi e espressioni come la pittura classica, il disegno, la fotografia, la performance, le installazioni e i numerosi video, di cui può a buon titolo definirsi un pioniere. Video e film  realizzati affinando le tecniche che tale mezzo sviluppava con le nuove tecnologie, come il 3D e l’animazione o la produzione di opere e oggetti di design attraverso i programmi di grafica. Sviluppando sempre una proposta ludica in cui interviene la tecnologia e la fantasia creativa che invitano a percorrere un sentiero attraverso tre tappe (Analogico, Digitale e Espanso) che ci riportano fino al presente del suo fantasioso cammino nell’universo.
La mostra, che conta sull’auspicio dell’Ambasciata d’Italia in Argentina, è accompagnata da un catalogo con testi di Achille Bonito Oliva, Sarah Goodal, Pierre Restany e Massimo Scaringella.
Per Pierre Restany, "Eduardo Pla, artista non classificabile, è un chiaro esponente dell’arte del suo tempo, un perfetto creatore visuale del futuro immediato". È "un artista del Rinascimento che ci rivela, in uno spiegamento infinito di colore e di forma, che la sua ricerca è il cuore dell’immagine" per Sarah Goodal. Secondo quanto scrive Achille Bonito Oliva, "il neo-illuminismo di Pla consiste nella consapevolezza moderna di non potere compiere atti di ortopedia iconografica, di non potere chiudere in un impossibile ordine statico la mobilità dei frammenti che compongono le celle dell’immagine ultima". Ed infine, per Massimo Scaringella, "chiudendo i quattro punti cardinali espressivi - il segno,il gesto, il colore e la materia - dentro dell’impulso sintetico del montaggio digitale" Pla "conferma, sotto perfetto controllo, una contaminazione non solo visuale ma anche della storia". (aise)

sabato 5 novembre 2011

Il Venezuela, una lezione per l’occidente in crisi

di Attilio Folliero e Cecilia Laya (*)
Caracas, 04/11/2011



Il Venezuela, un paese ricco di risorse

Dal 14 febbraio 2011 il Venezuela è ufficialmente il paese con la maggiore riserva petrolifera accertata del mondo, con 296,5 miliardi di barili. Quel giorno sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del Venezuela, (n. 39.615) i risultati delle indagini condotti, per anni, da un gruppo di società internazionali chiamate ad accertare le effettive riserve petrolifere del Venezuela.
Il Venezuela non possiede solo petrolio, ma anche gas, oro, coltan e numerose altre materia prime. Come nella maggior parte dei paesi del mondo, anche la legislazione venezuelana riserva allo stato la proprietà di tutto ciò che esiste nel sottosuolo, potendo affidare lo sfruttamento di queste risorse ai privati, che in cambio di questa concessione pagano allo stato delle percentuali (royalities).
Per decenni le grandi multinazionali del petrolio, dell’oro e degli altri settori hanno operato in Venezuela come se le risorse fossero di loro proprietà, pagando allo stato cifre irrisorie. Tutto ciò è stato possibile perchè i governi di turno che si sono succeduti in Venezuela fin dall’inizio del XX secolo, con poche eccezioni, erano dei burattini nelle mani delle stesse multinazionali, ovvero governi imposti dalle stesse multinazionali; questi governi in cambio del potere, che esercitavano spesso in maniera dittatoriale riservavano alle multinazionali il diritto di sfruttamento delle risorse del paese.
Questi governi, quando non erano delle dittature, ma assumevano la parvenza di una democracia, come nel caso del quarantennio della IV Republica (1961-1998) erano nei fatti delle dittature ed agivano indisturbati come spietate dittature, in cui era presente ogni sorta di violazione umana (stragi, persecuzioni, sparizioni, torture, arresti indiscriminati ed assassinato degli avversari politci erano all’ordine del giorno) grazie all’appoggio che ricevevano dagli Stati Uniti e dalle altre potenze interessate alle risorse del Venezuela.
I pochi governi, le eccezioni di cui sopra, che hanno cercato di ribellarsi a questo stato di fatto sono stati immediatamente fatti fuori; è il caso di Cipriano Castro vittima di un colpo di stato da parte di Juan Vicente Gomez o Carlos Delgado Chalbaud, ucciso dopo aver preso il potere mediante un colpo di stato.
Ovviamente, mentre le grandi multinazionali e le oligarchie che dirigevano il paese si arricchivano, la maggioranza del popolo si impoveriva.
Negli ultimi decenni del XX secolo le grandi multinazionali non contente di poter sfruttare le risorse del Venezuela, pagando percentuali irrisorie (dell’ordine dell’1%) aspirano al pieno possesso.
La storia del Venezuela ed in generale dell’America Latina, può essere vista come uno specchio di quello che sta per accadere in Grecia, in Italia, in Europa. Tutto quello che è successo in Venezuela si sta replicando in Europa; l’unica cosa che potrà cambiare sarà l’intensità con cui si daranno gli avvenimenti. Di qui l’enorme importanza di conoscere la storia e gli avvenimenti del Venezuela, tra i quali spicca la questione dell’oro venezuelano.

Comprendere Il debito pubblico

Le grandi multinazionali come avrebbero mai potuto impossessarsi non solo di fatto, ma anche legalmente delle grandi risorse del Venezuela? Semplice: attraverso il processo di privatizzazione. Pe poter procedere alla privatizazione delle risorse del paese e delle grandi imprese statali era però necesario trovare una scusa. E la scusa arriva dalla presenza di un enorme debito pubblico.
Il debito pubblico non è qualcosa che nasce spontaneo, ma si crea a proposito. Invitiamo a tal fine a leggere il capitolo XXIV de “Il capitale” di Carlo Marx.
Una volta creato il debito pubblico e diventato talmente alto, praticamente impagabile, il governo del paese altamente indebitato deve procedere alla vendita delle risorse del paese o meglio svenderle obbligatoriamente a prezzi stracciati (de galina flaca, per dirla alla venezuelana).
Il debito pubblico ha una duplice funzione al servizio del capitale. In Italia, ad esempio, nessun privato, neppure il più ricco e potente, avrebbe mai potuto creare la capillare infrastruttura ferroviaria di migliaia di chilometri che caratterizza le Ferrovie dello Stato, o l’infrastruttura telefonica della Telecom, due grandi imprese che in mano privata possono assicurare profitti enormi. Ci riesce lo stato, proprio grazie alla possibilità di creare debito pubblico, quindi costruendo queste grandi imprese attraendo i capitali necessari.
Una volta costruite queste grandi imprese, il privato riesce ad impossessarsene attraverso due stratagemmi: da un lato si affida la gestione di queste grandi imprese a “manager di fiducia del grande capitale” che portano queste imprese al bordo del fallimento, facendole apparire come imprese che non danno alcun utile allo stato e che sarebbe meglio liberarsene; insomma si creano “carrozzoni” come l’IRI, in Italia o la PDVSA e la CANTV durante la IV Repubblica in Venezuela.
Per creare carrozzoni, imprese che danno solo perdite non è difficile, essendo sufficiente, ad esempio, aumentare spropositatamente il numero degli addetti; in questo modo i gestori, nominati dai politici di turno, con l’assunzione indiscriminata, oltre a creare clienterismo político che pemette di conservarli nel potere (dato che gli assunti li appoggeranno nelle future elezioni), contribuiscono a creare imprese perennemente in perdita, i cui bilanci annualmente vengono ripianati dallo stato, contribuendo anche ad aumentare il debito pubblico; dall’altro lato la classe politica al potere fa di tutto per far crescere il debito pubblico.
Una volta che il debito pubblico ha raggiunto livelli tali, in cui i soli interessi sul debito assorbono gran parte del bilancio, lo stato è costretto a vendere i propri beni, o meglio a svendere i propri “carrozzoni”, che apparendo appunto come imprese che non danno utili debbono necessariamente essere vendute a prezzi decisamente inferiori.
Questa storia, che si è compiuta pienamente in America Latina e in Venezuela si sta ripetendo in Europa.

La stagione delle privatizzazioni in Venezuela, in Italia e in Europa

Il Venezuela paese ricco di risorse – come abbiamo visto – grazie all’azione dei politici di turno, è costretto ad indebitarsi con il Fondo Monetario Internazionale ed è spinto a farlo precisamente per poter avere la scusa per procedere alle privatizzazioni, ovvero procedere alla svendita delle grandi imprese dello stato, tra le quali la più importante è PDVSA, la statale petrolífera.
Da un lato, dunque, i politici al governo in Venezuela indebitano il paese, dall’altro lato i gestori delle imprese pubbliche, nominati dalla stessa oligarchia che gestisce il paese, si incaricano di farle apparire come dei “carrozzoni” di cui è meglio liberarsi. Una volta che il debito ha raggiunto livelli impagabili, i governi di turno procedono alla privatizzazione delle grandi imprese come la CANTV, SIDOR, VIASA ed altre importanti imprese pubbliche venezuelane; ovviamente si avvia anche il processo di privatizzazione di PDVSA, la più importante di tutte.
Fin qua, la storia italiana procede sostanzialmente come quella che ha vissuto il Venezuela. In Italia si è già superata la fase della creazione artificiale del debito pubblico, quindi si sta procedendo alla svendita degli attivi. Lo stato italiano possiede grandi imprese o quote sostanziali di imprese già privatizzate: ENI, ENEL, Finmeccanica, Ferrovie, Poste, imprese municipalizzate dell’acqua, dell’energia, dei rifuti, dei trasporti; tutte imprese molto appettibili dal grande capitale internazionale. A queste ricchezze si aggiunge un’altra, che noi abbiamo indicato come il vero obiettivo primario dell’attacco all’Italia (1), ovvero il suo oro. L’Italia ha riserve auree per 2.451,80 tonnellate ed è il paese con la terza maggior reserva riserva di oro al mondo, dopo USA e Germania.
I governi che si alterneranno adesso in Italia, con la scusa della necessità di far fronte all’ingente debito pubblico, procederanno alla svendita di tutti gli attivi del paese. Lo stesso sta succedendo in molti paesi dell’Unione Europea, dalla Grecia, alla Spagna, al Portogallo, a Cipro, all’Irlanda.
Bisogna aggiungere che la crescita del debito pubblico è stata voluta anche dalla Unione Europea e dal Banco Centrale Europeo (BCE); a capo delle istituzioni europee si sono alternati i rappresentanti del grande capitale internazionale; ad esempio, alla testa del BCE è stato recentemente nominato proprio l’italiano Mario Draghi, uomo Goldman Sachs, già a capo della Banca d’Italia e principale artefice, assieme a Romano Prodi, Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi della prima ondata di privatizzazioni in Italia.
L’Unione Europea avendo imposto non la regola del pareggio del bilancio, ma la possibilità di sforare del 3% all’anno, ha creato i presupposti per l’aumento del debito pubblico; infatti in dieci anni, gli Stati nella più ottimistica delle ipotesi hanno accumulato debiti equivalenti al 30%. Inoltre, molti stati non avendo ritenuto tale regola come tassativa sono andati anche oltre: l’Italia, in alcuni anni, ha sforato il 5%, la Grecia il 10% ed oltre. Ovviamente le istituzioni europee non potevano non sapere, ma questo importava poco, perchè in fin dei conti lo scopo era l’indebitamento dei paesi.

Quali saranno le conseguenze?

Le conseguenze le possiamo vedere studiando la storia dell’America Latina ed in particolare del Venezuela.
Una volta ottenuti i prestiti, il Venezuela è stato costretto ad applicare una rigida ricetta imposta dai creditori, ovvero dal FMI. La ricetta oltre alla privatizzazione delle imprese statali, prevedeva forti tagli alla spesa pubblica, incremento delle tasse e di tutte le imposte, liberalizzazione ed incremento delle tariffe dei servizi pubblici, anche di quelli esssenziali, incremento dell’età pensionabile, licenziamento e riduzione del pubblico impiego, riduzione di salari e pensioni. La riduzione dei salari e delle pensioni arrivò ad essere dell’80%/90%. In realtà l’operazione fu molto più subdola che il semplice taglio netto, dato che si decise per il blocco degli stipendi e delle pensioni; quando una società è altamente inflazionata, come quella venezuelana, con tassi annui fra l’80% ed il 100%, bloccare i salari per vari anni di seguito ha determinato di fatto una svalutazione dei salari e delle pensioni fino al 90%.
Le conseguenze sul piano sociale della ricetta del Fondo Monetario Internazionale sono sotto gli occhi di tutti e basta appunto analizzare la storia dell’America Latina, dall’Argentina, alla Bolivia, all’Ecuador, al Venezuela, senza dimenticare il Brasile e tutti gli altri paesi del continente americano. In ognuno, le conseguenze sono state le stesse, anche se l’intensità è stata differente: la maggioranza della popolazione cade nella miseria ed inevitabilemente esplode; le esplosioni sociali portano alla repressione, ovviamente.
In Venezuela l’esplosione sociale arriva il 27 febbraio del 1989, quando la miseria e la fame in cui era precipitata la maggioranza della popolazione costringono, tra l’altro, all’assalto dei negozi per poter mangiare. La reazione del potere fu brutale, disumana: la repressione condotta dalla polizia e dall’esercito, il cui Ministro della Difesa, di origine italiana, Italo del Valle Alliegri, solo in questi ultimi mesi è stato inciminato per violazione dei diritti umani, in due giorni provoca migliaia di morti; il numero non è mai stato accertato.
In questi mesi di crisi, stiamo assistendo all’applicazione della stessa ricetta in Grecia e negli altri stati europei, Italia compresa. Queste misure condurranno inevitabilmente all’impoverimento di grosse fasce della popolazione e conseguentemente alle esplosioni sociali ed alla inevitabile repressione.
Trattandosi di popoli, gli europei, che hanno conosciuto un altro livello di vita, è pensabile che difficilmente accetteranno di tornare alla miseria di un tempo e quindi esploderanno in una maniera ancora più virulenta e pensiamo che la situazione possa sfociare in dittatura; dato che la repressione non si addice alla democrazia, la necessità di apllicare una forte repressione potrebbe costringere i detentori del potere ad imboccare la strade della dittatura.

La cessione dell’oro ed il fallimento del settore finanziario in Venezuela

A questo punto è necessario parlare di una vicenda molto particolare che ha riguardato il Venezuela e che accomuna ancora di più la attuale situazione italiana al paese caraibico. Abbiamo visto che l’Italia possiede una enorme quantità di oro, sotto forma di riserva internazionale, ben 2.451,80 tonnellate. Tra i grandi furti subiti dal Venezuela, ai tempi della IV Repubblica, vi fu proprio quello dell’oro.
L’azione di indebitamento del paese, in Venezuela fu portata avanti dai governi di Jaime Lusichi (1984-1989) e di Carlos Andres Perez (1989-1993), i quali non solo indebitarono il paese con il Fondo Monetario Internazionale, ma impegnarono anche tutto l’oro dello stato; infatti, per poter ottenere i prestiti, non solod ebbono applicare una rigida ricetta, ma sono anche costretti a dare in garanzia 211 tonnellate di oro. Questa enorme quantità di oro, consegnata a garanzia dei prestiti, viene inviata e conservata in banche di differenti paesi del mondo: il 59,9% in Svizzera, il 17,9% in Inghilterra, l’11,3% negli Stati Uniti, il 6,4% in Francia; il resto in altri paesi.
Anche in Italia, esattamente come nella Venezuela degli anni ottanta e novanta, c’è chi parla della necessità di impegnare l’oro (nota 1).
Come abbiamo visto la politica neoliberale dei governi venezuelani conduce all’indebitamento, quindi alle privatizzazioni, alla diffusione della miseria, alle esplosioni sociali ed alla conseguente repressione. La situazione economica del Venezuela, dopo la brutale repressione del 27 febbraio 1989, continua a peggiorare, fino alla crisi del settore finanziario. Il fallimento di oltre la metà delle istituzioni finanziarie del paese (banche, assicurazioni e finanziarie in genere) ariva nel 1994. E’ questo un altro elemento di profonda similitudine con la attuale crisi europea ed italiana.
Oggi, la maggior parte delle imprese del settore finanziario italiano (banche e assicurazioni) è in profonda crisi ed al bordo del fallimento, con un svalutazione enorme rispetto al 09/10/2007 e con un forte indebitamento.
Nella tabella riportiamo i dati delle principali istituzioni finanziarie italiane e di alcune europee e statunitensi. Si nota la forte svalutazione di molte imprese (per alcune superiore al 90%) ed il forte indebitamento. La situazione non è molto differente per le multinazionali europee e statunitensi prese in considerazione.




La crisi del Venezuela e la rivoluzione pacifica di Hugo Chávez

La forte crisi del Venezuela, con il pacchettazzo neoliberale, le principali imprese privatizzate e l’impresa petrolífera al bordo del fallimento ed in via di privatizazione, sfocia dunque nella rivolta popolare del 27 febbraio 1989 che prende il nome di Caracazo, repressa dai militari. Il malcontento, però serpeggia anche tra le forze militari, che finisce per trasformarsi in aperta ribellione contro il governo dalla facciata democratica, ma profundamente dittatoriale nei fatti.
Il 4 di febbraio del 1992 gruppi di militari al comando di Hugo Chávez si ribellano, tentando di spodestare il “tiranno” Carlos Andres Perez. La ribellione fallisce ed i militari ribelli finiscono in carcere. Hugo Chávez, però, entra a pieno titolo nelle simpatie del popolo, essendo la prima volta che un militare agisce in favore dei poveri e cerca di rovesciare il governo per vendicare la repressione del 27 febbraio (Caracazo). Una frase in particolare, pronunciata da Chávez mentre è portato in carcere e trasmessa da tutte le televisioni venezuelane, lo rende famoso e popolare: “Il nostro tentativo non è riuscito, per adesso … “; una frase che arriva al popolo come segnale di speranza per il futuro. Por ahora, per adesso è andata cosi, per adesso abbiamo fallito, ma ci saranno altre opportunità. Automaticamente nell’immaginario collettivo, Hugo Chávez diventa il punto di riferimento per futuri cambiamenti e la speranza di un intero popolo.
Il 27 di novembre dello stesso anno si ha una nuova ribellione militare; anche questa non ottiene il successo ed i militari finiscono in carcere.
Le ribellioni del popolo e dei militari, anche se falliscono, stanno a indicare che la crisi del Venezuela è destinata a sfociare in una rivoluzione.
La crisi economica dopo aver travolto anche il sistema bancario, che - come abbiamo visto - porta al fallimento di oltre la metà delle imrpese del settore, finisce per travolgere l’intero sistema político.
Hugo Chávez, dopo aver passato due anni di carcere viene indultato dal neo presidente, Rafael Caldera, che in pratica è stato eletto in virtù della sua promessa elettorale di liberare i militari ribelli. Mantiene la promessa, Chavez esce dal carcere fonda un movimento político ed alla successiva elezione, nel 1998, si presenta come candidato con un programa totalmente rivoluzionario. Viene eletto ed inizia quel proceso di trasformazione della società che porterà il Venezuela lontano dal neoliberismo ed alla rinazionalizzazione di tutte le imprese strategiche precedentemente privatizzate (banche, telefonía, imprese minerarie); ovviamente la principale impresa del paese, la statale PDVSA, che durante la IV Repubblica non dava utili e stava per essere privatizzata si riprende e comincia  a fornire grandi utili al paese.
Tra le varie azioni portate in porto dal governo di Hugo Chávez è quella di aver pagato tutti i debiti del paese, chiudendo definitivamente con il Fondo Monetario Internazionale. Rimane aperto ancora un contenzioso con le grandi banche internazionali. Il governo ha ormai pagato tutti i debiti, ma le 211 tonnellate di oro date in garanzia al FMI, sono ancora in mano ai banchieri internazionali. Pertanto, recentemente il governo ha chiesto alle banche presso cui è custodito l’oro venezuelano di restituirlo.
L’oro è un prodotto altamente strategico e con il possibile fallimento dell’Euro ed il possibile tracollo del dollaro, l’oro avrà un ruolo sempre più importante. In virtù della crescente importanza che assumerà l’oro, il governo venezuela ad agosto ha annunciato anche la nazionalizzazione di tutte le attività connesse all’estrazione dell’oro. Dicevamo all’inizio di questo nostro lavoro, che il Venezuela è un paese ricco di risorse, tra le quali appunto, abbonda l’oro.
Il Venezuela, oggi non è tra i grandi produttori di oro, ruolo che vede al primo posto la Cina seguita dal Sudafrica, eppure è uno dei paesi con la maggiore presenza di questo minerale; è sufficiente considerare che in Venezuela si trova una delle miniere d’oro più grandi del mondo: “Las Cristinas” con riserve d’oro stimate per oltre 500 tonnellate.
Fino ad ora, le attività connesse all’estrazione dell’oro erano affidate in concessione ai privati, in particolare alle grandi multinazionali del settore. In base alle attuali leggi, le multinazionali erano obbligate a vendere al Banco Centrale del Venezuela la metà dell’oro estratto, mentre l’altra metà rimaneva proprietà dell’impresa esrattrice.
Il Governo, ritenendo che l’oro assumerà un ruolo strategico crescente ha deciso di nazionalizzare anche le attività di estrazione e gestirle direttamente al fine di poter conservare tutto l’oro estratto.
In Italia, invece i rappresentati del partito che molto presto subentrerà all’attuale moribondo governo di Silvio Berlusconi, pensano – come annunciano pubblicamente in una lettera al Sole24Ore – di utilizzare le ingenti riserve aurifere italiane come garanzia per ottenere europrestiti, ossia pensano di continuare ad attuare fedelmente il programma intrapreso dai governi della IV repubblica in Venezuela.
E’ evidente che la storica lezione dell’America Latina ed in particolare del Venezuela, non ha insegnato assolutamente niente ai politici italiani ed europei. Inevitabilmente, la strada intrapresa dall’Europa e dai suoi politici, tutti burattini al servicio del grande capitale, esattamente come era in Venezuela, condurrà alla miseria degli europei ed alla inevitabile esplosione sociale, con la inevitabile repressione; le esplosioni sociali potrebbero convincere – e lo ripetiamo – i detentori del potere ad intraprendere la strada della dittatura.
In conclusione, la lezione del Venezuela ci insegna che le attuali politiche neoliberali condurranno alla miseria ed alle esplosioni sociali; quello che non possiamo prevedere è se la reazione del popolo sfocerà in una rivoluzione, in un grande cambiamento, o porterà ad una feroce dittatura.


(*) Attilio Folliero è politólogo italiano residente a Caracas, professore contrattato presso la la facoltà di Scienze delle Comunicazioni (Escuela de Comunicación Social) dell’Università “Centrale del Venezuela” di Caracas; Cecilia Laya è una economista venezuelana, funzionario pubblico presso l’Univesrità “Simon Bolivar” di Caracas
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1)    Vedasi nostro articolo: “Avevamo visto giusto: vanno all’attacco dell’oro dell’Italia”, Url http://attiliofolliero.wordpress.com/2011/08/30/avevamo-visto-giusto-vanno-all%E2%80%99attacco-dell%E2%80%99oro-dell%E2%80%99italia/