di Domenico Latino
Una vecchia enciclopedia e il suo primo volume, due pagine dai contorni ingialliti, un ritratto abbozzato su sfondo rosso: un volto rigido, l’espressione severa, due baffoni austeri che potrebbero nascondere le più intense e forti emozioni; l’altro un omino fine e gentile, bombetta e cravattino, dall’aria inquieta e intimorita. Poche parole, tanta politica. È questo il ricordo sbiadito che avevo di Sacco e Vanzetti: italiani, immigrati, anarchici, innocenti e giustiziati. Poche nozioni, essenziali, forse.
Una vecchia enciclopedia e il suo primo volume, due pagine dai contorni ingialliti, un ritratto abbozzato su sfondo rosso: un volto rigido, l’espressione severa, due baffoni austeri che potrebbero nascondere le più intense e forti emozioni; l’altro un omino fine e gentile, bombetta e cravattino, dall’aria inquieta e intimorita. Poche parole, tanta politica. È questo il ricordo sbiadito che avevo di Sacco e Vanzetti: italiani, immigrati, anarchici, innocenti e giustiziati. Poche nozioni, essenziali, forse.
Sono convinto, decisamente convinto, che scrivere,
ugualmente che si esprimi un concetto su un pezzetto di carta con un lapis o
che si collabori a un giornale attraverso una tastiera e un quindici pollici,
rappresenti un modo per essere se stessi e offrirsi agli altri. Io penso che un
diario si scriva nell’intimità della solitudine, in un distacco totale, essendo
certi che non lo leggerà mai nessuno ma sperando mentre lo si nasconde che
qualcuno prima o poi lo trovi. Si può dire di come siamo, dei nostri pensieri,
delle nostre gioie, dei nostri dolori, delle certezze o delle paure. Si possono
descrivere dei luoghi, dei paesaggi, spazi, sensazioni, esperienze belle,
brutte, personali. Si può parlare di personaggi fantastici, immaginari o di persone realmente esistite,
delle loro avventure, delle loro vicende, del loro coraggio, della loro viltà.
L’importante è, essenzialmente, essere sinceri e non frenare la voglia di
comunicare le proprie passioni, i propri sentimenti. Quando si vuole parlare di
un fatto così serio quanto vero, così profondo quanto tragico, come quello che
sto per esporvi, bisogna essere però, effettivamente documentati e molto
obiettivi. Qui sta il fascino del giornalismo: informarsi per informare,
studiare per conoscere quello di cui prima non si era a conoscenza, imparare
soprattutto a conoscere se stessi per mostrarsi con precisione agli altri. Ed
ecco che allora il mio ricordo sbiadito diventa cognizione, e le mie
riflessioni emergono precise. Vi racconterò dunque di Nick & Bart, della
loro triste storia e del suo tragico epilogo.
Bartolomeo “Tumlin” Vanzetti nacque nel 1888 a
Villafalletto in provincia di Cuneo: “Occorrerebbe un poeta di prima grandezza
per parlarne degnamente, tanto è bello, indicibilmente bello…vi è il canto
degli uccelli; ci sono i merli neri, i merli delle stoppie d’oro e dall’ugola
ancora più d’oro; i rigogoli, i fringuelli, di tutte le varie specie; gli
ineguagliabili usignoli, gli usignoli soprattutto. Eppure, credo che la
meraviglia delle meraviglie, nel mio giardino, siano ai bordi dei suoi
sentieri: centinaia di specie diverse di erba, di foglie, di fiori selvatici,
testimoniano, là, il genio onnipotente dell’Architettura Universale, dando
riflesso al sole, alla luna, alle stelle, con tutte le loro luci e i loro colori.
Là, i non ti scordar di me sono in folla, e in folla sono le margherite
selvatiche”. Così Bart guardava, dietro le sbarre, con rimpianto al giardino
paterno di Villafalletto. Era figlio di un agricoltore. Aveva lavorato a Cuneo,
Cavour, Torino come apprendista pasticciere entrando in contatto con garzoni di
idee socialiste. A vent'anni era rientrato al paese ma la morte della mamma,
Giovanna, cui era legatissimo, lo sconvolse e, straziato, decise di lasciare
tutto e di partire per l’America. Sognava una vita migliore; speranza diffusa e
spesso vana degli italiani dei primi del Novecento. Era il 9 giugno del 1908.
Stabilitosi nel Massachussetts, svolge diversi mestieri, conosce affanni e
sofferenze, legge avidamente libri e giornali, e milita, a Plymouth, nel gruppo
anarchico “Cronaca sovversiva” fondato da Luigi Galleani. Nel 1917, per
sfuggire all'arruolamento, si trasferisce in Messico dove stringe amicizia con
Nicola Sacco anche lui militante dello stesso gruppo a Milford. I due divengono
inseparabili. Bartolomeo ha l'età di Sabino, il fratello con il quale Nicola è
emigrato da Torremaggiore (FG) nello stesso anno di Vanzetti, il 1908. Tornati
negli Stati Uniti i due prendono nuovamente a frequentare i circoli anarchici,
oramai decimati dai rastrellamenti ordinati dall’allora ministro della
giustizia Palmer contro i “sovversivi”. Era quello un periodo della storia
americana caratterizzato da una forte paura dei comunisti. La rapida
sensibilità politica della sinistra nei confronti di larghe masse di lavoratori
di recente immigrazione e la loro sindacalizzazione insieme allo spettro della
Rivoluzione Bolscevica avevano spaventato la classe conservatrice americana e
suscitato nei ceti ricchi della società la psicosi di incombenti rivolgimenti
sociali. A breve Sacco e Vanzetti sarebbero stati vittime dell’isterismo
collettivo che si era impossessato dell’opinione pubblica borghese e delle
istituzioni giudiziarie. Entrambi non avevano mai avuto precedenti con la
giustizia ma erano conosciuti dalle autorità locali come radicali coinvolti in
scioperi, agitazioni politiche e propaganda contro la guerra. Un giorno, Nicola
Sacco si trovò a rispondere così, in aula, all’implacabile procuratore
Katzmann: “In Italia, ancora da ragazzo, ero repubblicano, sempre pensando
che con i repubblicani c’era maggiore probabilità di avere istruzione,
progredire, farsi un giorno o l’altro una famiglia, allevare e fare studiare i
figli, se si poteva. Era il mio modo di pensare; così, venuto qui, in questo
Paese, ho visto che non era come credevo e che la differenza si fermava lì,
perché ho lavorato meno duro in Italia che qui. […] Ho visto i migliori, con intelligenza, istruzione,
essere arrestati e mandati in prigione e starsene a morire in prigione per anni
ed anni senza essere tirati fuori, […] la classe capitalista non vuole che i
nostri figlioli vadano alle scuole superiori, alle università, a Harvard. Non
dovranno mai esserci possibilità, non dovranno, no. Loro non vogliono
l’istruzione della classe lavoratrice; vogliono che la classe lavoratrice sia
in basso, sempre, sia sotto i piedi e non alzi la testa. […] amo che la gente
fatichi e lavori e veda progredire ogni giorno migliori condizioni, non faccia
più guerre. Non vogliamo combattere col cannone, e non vogliamo che si ammazzino
i giovani. La madre ha sofferto per tirar su il giovane. […] Quale diritto
abbiamo di ucciderci gli uni con gli altri? Ho lavorato per gl’irlandesi, ho
lavorato con compagni tedeschi, con i francesi, con tanta altra gente. Amo
questa gente quanto posso amare mia moglie, e i miei, perché questa gente mi ha
accolto fraternamente. Perché dovrei andare a uccidere quegli uomini? Che cosa
mi hanno fatto? Non mi hanno mai fatto nulla, perciò non credo alla guerra.
Voglio sopprimere i cannoni…”. Il 24 dicembre 1919, alle 8,20 del mattino,
ebbe luogo una tentata rapina a Bridgewater, nel Massachussetts. Bart Vanzetti,
nell’istante preciso, si trovava nella panetteria di Luigi Bastoni, a Plymouth,
a circa quarantotto chilometri dal luogo in cui la suddetta tentata rapina
avveniva. Il 15 aprile 1920, alle 15, una banditesca rapina a mano armata fu
commessa a South Braintree, sobborgo di Boston, ai danni del calzaturificio
“Slater and Morrill” uccidendo il cassiere della ditta e una guardia giurata a
colpi di pistola. Anche quel giorno Bart Vanzetti era a Plymouth, a circa
cinquantuno chilometri dal luogo del delitto e nell’esatto istante stava
parlando con il signor Corl, che sulla spiaggia faceva i preparativi per varare
la sua imbarcazione a motore, in vista della nuova stagione di pesca. Nicola
Sacco alle 15 del 15 aprile 1920 si trovava al Consolato d’Italia a Boston per
farsi rilasciare il passaporto: all’inizio della primavera aveva ricevuto una
lettera listata a lutto, annunciante la morte della madre. L’uomo, dichiarò
Giuseppe Adrower, impiegato del Consolato, si era presentato ai primi di aprile
e gli era stato detto di tornare con due fotografie. Era tornato, il 15, con
l’ingrandimento di una foto di famiglia. Adrower ricordava la data perché “era
una giornata molto tranquilla al Regio Consolato d’Italia, e, perché non mi ero
mai visto presentare una foto tanto grande per un passaporto. La presi e andai
a farla vedere al cancelliere del Consolato, col quale rimanemmo un momento a
commentare il fatto, ridendo. Ricordo di avere osservato la data su un grande
calendario a muro, nell’ufficio del cancelliere, mentre parlavamo della foto.
Dovevano essere circa le 14 o le 14,15 poiché ricordo di aver chiuso l’ufficio,
per quel giorno, circa mezz’ora dopo”. Il 5 maggio del 1920 Nick e Bart
dopo una riunione con alcuni compagni anarchici vengono arrestati su un tram
fra Brockton e Bridgewater. Bloccati da agenti in borghese, forse informati da
una “soffiata”, i due italiani finiscono dentro. Avevano addosso un arsenale.
Vanzetti aveva una rivoltella calibro 38, carica, proprio lui che era fuggito
nel Messico, non volendo sparare su un proprio simile in guerra! Una rivoltella
calibro 38 carica e diverse pallottole, ciascuna delle quali poteva recare
morte istantanea. Nicola Sacco fu trovato in possesso di una Colt 32 e trentuno
cartucce per arma automatica, nove nel caricatore e altre ventidue in
tasca.
Tre giorni dopo il procuratore legale Gunn Katzman,
arrivato da Boston, contesta a Sacco e Vanzetti i reati di duplice omicidio e
rapina a mano armata. E' l'inizio di un
“processo di stato” che porterà all'omicidio, sulla sedia elettrica, di Nicola
e Bartolomeo, nonostante contro di loro non ci sia alcuna prova certa ma, anzi,
numerose testimonianze di innocenza e addirittura la confessione del detenuto
portoricano Celestino Madeiros che ammette di aver preso parte alla sanguinosa
rapina giurando di non aver mai visto Sacco e Vanzetti. Naturalmente non è
creduto. Anni dopo il gangster italo-americano Vincent Teresa nella sua
autobiografia Piombo nei dadi scrisse che gli autori della rapina erano
stati i fratelli Morelli e che uno di questi, Butsey, gli aveva detto: “Quei
due imbecilli ci andarono di mezzo. Questo ti mostra cos'è la giustizia!”.
Alla base del giudizio di condanna, a parere di molti, vi furono da parte di
polizia, procuratori distrettuali, giudice e giuria pregiudizi e una forte
volontà di perseguire una politica del terrore. Sacco e Vanzetti venivano
considerati due “agnelli sacrificali” utili per sperimentare la nuova linea di
condotta contro gli avversari del governo. Vittime
del pregiudizio sociale e politico, immigrati italiani con una
comprensione insufficiente della lingua inglese, noti per le loro idee
politiche radicali. Il giudice Webster Thayer li definì senza mezze parole due anarchici
bastardi. Vanzetti, il 19 aprile 1927, in occasione della lettura del
verdetto di condanna a morte, ebbe a dire: “Non auguro neanche a un cane, o
a un serpente, all’infima creatura della terra; non auguro a nessuno di
soffrire come me, per una colpa che non ho commesso. Ma la mia condanna è
venuta, perché ho sofferto per cose di cui effettivamente sono colpevole. Sto
soffrendo perché sono di sinistra; il che è, effettivamente, vero. Ho sofferto
perché sono italiano; ed effettivamente lo sono. E soffro per la mia famiglia e
per le persone che amo più che non per me. Ma tanto sono convinto di essere nel
giusto, che se aveste il potere di mandarmi a morte due volte, e due volte io
potessi rinascere, vivrei nuovamente per fare le stesse cose”. Sette lunghi
anni nel carcere di Charlestown vedono una grande mobilitazione in favore di
Nick & Bart, con azioni legali, campagne stampa, comitati, appelli (persino
di Mussolini). Molti famosi intellettuali, compresi Dorothy Parker, Bertrand
Russell, John Dos Passos, Upton Sinclair e H. G. Wells, sostennero una campagna
per giungere ad un nuovo processo; l'iniziativa, tuttavia, non approdò ad alcun
risultato.
Tutto inutile. Nicola Sacco, 36 anni, viene fulminato da
una scarica elettrica alle ore 0,19: sette minuti dopo è la volta di Bartolomeo
Vanzetti, 39 anni. E' il 23 agosto 1927. La loro esecuzione innescò rivolte
popolari a Londra, Parigi e in diverse città della Germania.
Il 23 agosto 1977, esattamente 50 anni dopo, il governatore
del Massachusetts Michael Dukakis emanò un proclama che assolveva i due uomini
dal crimine, dicendo: "Io dichiaro che ogni stigma ed ogni onta vengano
per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, dai nomi
delle loro famiglie e dei discendenti e dal nome dello stato del
Massachussetts. Invito il popolo del nostro stato a sostare dai suoi eventi in
modo da trarre il coraggio per impedire alle forze dell’intolleranza, della
paura e dell’odio di unirsi ancora per sopraffare la razionalità e la saggezza
cui il nostro sistema legale aspira”.
Cantanti e registi hanno mantenuto vivo negli anni il
ricordo di questa dolorosa vicenda. Nel 1946 Woody Guthrie, famoso
folksinger americano, pubblicò «Ballads of Sacco e Vanzetti», un lp in cui celebrava
il ricordo dei due italiani, simbolo dell'ingiustizia. Anche il cinema ha ricordato la loro storia
con un film italo-francese di Giuliano Montaldo del 1971. Gian Maria Volontè
e Riccardo
Cucciolla, che vestono i panni di Vanzetti e Sacco, sono i protagonisti
di una opera cinematografica divenuta presto un cult grazie anche alla colonna
sonora musicata da Ennio
Morricone e interpretata da Joan Baez, autrice dei testi. «Voi
restate nella nostra memoria con la vostra agonia che diventa vittoria»:
sono le parole di «Here'
s to you» che, insieme alla «Ballata per Sacco e
Vanzetti», è entrata nel repertorio internazionale della canzone d'autore
sollevando le coscienze negli Usa su un caso dimenticato da molti. È la lettera
scritta da Vanzetti al padre, Giovanni Battista, per annunciare la sua
carcerazione che ha ispirato Joan Baez. In quella lettera Bart scrive: "Non tenete celato il mio
arresto. No, non tacete, io sono innocente e voi non dovete vergognarvi. Non
tacete ma gridatelo dai tetti, del delitto che si trama al mio danno...No, non
tacete che il silenzio sarebbe vergogna".
La crudele conclusione di questa storia così infelice mi
lascia confuso e avvilito, provo rabbia e sdegno per una così chiara e palese
ingiustizia e non posso fare a meno di riflettere sul fatto che l’America è un
paese democratico dove tutt’oggi si applica la pena di morte. Non posso fare a
meno di ricordare le scene di intolleranza che seguirono l’arresto di Sacco e
Vanzetti e quel cartello così bene in vista con su scritto “America for
americans” . Gli Usa sono un paese multirazziale, da sempre. Tantissimi
immigrati hanno fatto la fortuna dell’America e in special modo gli emigranti
italiani. Ma quello che più mi colpisce è la dignità e l’orgoglio che Nicola e
Bartolomeo esprimono fino alla fine,
anche davanti alla morte, tanto ingiusta quanto violenta. No ha più importanza
la loro innocenza o la loro colpevolezza, non hanno più importanza le carte del
processo, i testimoni, credibili o rei
di false deposizioni, i comitati o le manifestazioni. Traspare,
soprattutto, da questa storia, un senso di umanità straordinario e una
sensibilità unica e sono gli imputati a regalarci queste sensazioni, queste
lezioni di vita così preziose. Attraverso le loro difese, le loro lettere, i
loro appelli, le loro speranze, Sacco e Vanzetti dimostrano con una semplicità
disarmante il loro amore per la vita, per le cose vere della vita. Quella vita
giusta per la quale lottavano gli fu tolta senza indugi così brutalmente.
“Mai vivendo l'intera esistenza avremmo potuto sperare
di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra
gli uomini...Il fatto che ci tolgano la vita, la vita di un buon operaio e di
un povero venditore ambulante di pesce...è tutto! Questo momento è nostro
quest'agonia è la nostra vittoria!”.
Bartolomeo Vanzetti al suo accusatore nella sua celebre
difesa.