venerdì 29 luglio 2011

Italiani d'Argentina

La presenza degli italiani in Argentina è un fenomeno importante, ma poco visibile nella narrazione della storia dei due paesi. A colmare questa lacuna è riuscito, con successo, il libro “Storia degli italiani in Argentina”, del Prof. Fernando J. Devoto. Questo volume, dopo quello di Luigi Einaudi “Il principe mercante” (edito nel 1910), è un contributo fondamentale alla ricostruzione della storia dell’emigrazione italiana.
Fernando Devoto, professore ordinario di Teoria e Storia della storiografia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Buenos Aires, da diversi anni si occupa di storia dell’emigrazione italiana in America Latina ed è considerato una delle voci più autorevoli in materia.
L’opera, pubblicata anche in Italia dalla casa editrice Donzelli, prende il via dal 1750 per arrivare, dopo i grandi esodi di massa del primo ‘900 e dei periodi postbellici dei due conflitti mondiali, agli anni sessanta del secolo scorso. Emerge, tra le pagine, che l’Italia non è stata sufficientemente presente nell’accompagnare gli emigranti, eppure quest’ultimi non si sono mai dimenticati della loro Patria pur nell’integrazione e nella progressiva argentinizzazione. Gli argentini - secondo l’autore - sono molto più italiani di quanto credono di essere. In Argentina tutto sembra un po’ italiano, ancora più che spagnolo, da una certa idea dello Stato o assenza dell’idea dello Stato, ad un certo ruolo della famiglia e dei legami sociali.
Il lavoro di Fernando Devoto non si caratterizza per toni celebrativi o nazionalisti; insomma un libro che finalmente non vuole giudicare, ma che spiega i fatti attraverso un’esposizione scientifica, seria e documentata, evidenziando in maniera chiara il contributo della comunità italiana alla crescita sociale, economica e democratica dell’Argentina. Il messaggio del libro è una vera e propria testimonianza a favore della convivenza civile, basata sulla tolleranza e lo scambio reciproco fra i popoli.
L’autore ha sottolineato di aver realizzato questo libro non come componente della comunità italiana, ma come storico argentino. “Storia degli italiani in Argentina” dal punto di vista storiografico è un punto d’arrivo, ma nello stesso tempo anche un punto di partenza per nuove riflessioni. L’Italia ha in Argentina, se non un pezzo di sé, qualcosa che appartiene sicuramente alla sua anima e che, per questo, bisogna continuare ad indagare. (e.b.)

Storia degli italiani in Argentina
Devoto Fernando J.
€ 34,00
2007, IX-501 p., rilegato
Donzelli (collana Saggi. Storia e scienze sociali)

mercoledì 27 luglio 2011

Gli italiani, una presenza capillare in Venezuela

Articolo gentilmente inviato dal prof. Attilio Folliero, Caracas (Venezuela)

Miranda, Libertador e Petare sono rispettivamente lo stato, il municipio e la parrocchia che in Venezuela registrano il maggior numero di connazionali 

Caracas - Dove vivono gli italiani del Venezuela? Quali sono gli stati, i municipi, le parrochie con la maggiore presenza italiana? Innazitutto è bene precisare, per chi non conosce bene il Venezuela, che si tratta di uno stato federale, in cui le entità statali possono essere assimilate alle nostre regioni; gli stati si compongono di municipi, entità territoriali corrispondenti alle nostre provincie, che a loro volta, amministrativamente si dividono in parrocchie, ovvero i nostri comuni; infine, esattamente come avviene in Italia con l’ulteriore decentramento dei comuni più grandi (con oltre 50.000 abitanti) in circoscrizioni (che a Roma prendono il nome di municipi), anche in Venezuela le parrocchie si decentrano in ulteriori entità denominate “jefaturas”. La Capitale del Venezuela è Caracas, che corrisponde al territorio del Distretto Capitale, di fatto assimilato ad una entità statale; c’è ancora da aggiungere che il Distretto Capitale, territorialmente coincide col municipio Libertador, ovvero il Distretto Capitale si compone di un solo municipio (si potrebbe avanzare un paragone con la Valle d’Aosta, una regione che si compone di una sola provincia). Accanto al Distretto Capitale, che in sostanza corrisponde alla città di Caracas, esisite il Distretto Metropolitano di Caracas, ovvero la Gran Caracas, che amministrativamente si compone di 5 municipi, dei quali uno (il municipio Libertador) fa parte dello stato denominato Distretto Capitale e gli altri quattro (Sucre, El Hatillo, Chacao e Baruta) appartengono allo stato Miranda. Praticamente questi quattro municipi dello stato Miranda occupano la zona est della Gran Caracas. Questa precisazione diventa importante quando si passa all’analisi della distrubuzione degli italiani sul terriorio.
Gli italiani sono presenti in ogni stato del Venenzuela; quello con la maggior presenza è Miranda, con 13.637 italiani, seguito dal Distretto Capitale, 9.124 italiani, quindi Carabobo, con 4.867 e poi tutti gli altri, fino al Delta Amacuro, lo stato con meno presenza italiana, solo 21.
Miranda è anche lo stato con la maggior presenza di stranieri del Venezuela, seguito da Zulia, Distretto Capitale e Tachira. Negli stati Zulia e Tachira, che confinano con la Colombia, si concentra un’alta percentuale di colombiani, la comunità straniera più numerosa. Nell’entità territoriale denominata “Dipendenze federali”, che comprende tutte le isole e gli arcipelaghi non ricompresi in altri stati, tra cui il ben noto arcipelago “Los Roques” ci sono 22 italiani, il che rappresenta quasi la metà degli stranieri presenti e una percentuale superiore all’1% della popolazione totale; è l’entità statale con la più alta percentuale di italiani.
In realtà, la popolazione italiana residente nello stato Miranda è concentrata nei quattro municipi di questo stato che assieme al Libertador conformano la Gran Caracas, il Distretto Metropolitano di Caracas. In questi quattro municipi vivono 10.956 italiani, oltre l’80% di tutti gli italiani presenti nello stato Miranda. In pratica, nella Gran Caracas si concentra il 40% di tutta la popolazione itaniana residente in Venezuela. Sono 20.080 gli italiani che vivono nella Gran Caracas ed esattamente: 9.124 nel muniipio Libertador, 4.772 a Sucre, 3.715 a Baruta, 1.906 a Chacao e 563 nel municipio El Hatillo.
Riguardo la distribuzione per municipio, gli italiani sono presenti in 298 dei 336 municipi del Venezuela; praticamente, con almeno un rappresentante, gli italiani sono presenti nel 90% dei municipi del Venezuela, a conferma di una presenza capillare in ogni zona del paese.
Il municipio Libertador del Distretto Capitale, ovvero la città di Caracas annovera la maggior presenza di italiani con oltre 9.124 persone; seguono: Sucre, nello stato Miranda con 4.772 italiani, quindi Baruta, Valencia, Girardot (Maracay), Chacao, Iribarren (Barquisimeto) e Maracaibo.
Infine, anche i dati per parrocchia confermano una presenza capillare degli italiani in tutto il territorio del Venezuela. Infatti, in ben 725 delle 1.114 parroquie del Venezuela, ossia nel 65% del totale, si riscontra la presenza di almeno un italiano. Petare (stato Miranda) con 3.083 italiani è la parrocchia con il maggior numero di nostri connazionali, seguita da San Jose (Carabobo), Baruta (Miranda), San Pedro (Distrito Capital) e Chacao. Nelle tabelle allegate si può visionare la presenza italiana nei vari stati del Venezuela, i municipi e le parrocchie con la maggior presenza di italiani e la presenza italiana nelle 32 parrocchie che conformano il Distretto Metropolitano di Caracas.

martedì 26 luglio 2011

Monaco, Italia. Storie di arrivi in Germania

Alessandro Melazzini, giornalista, filmmaker e produttore, presenta la sua opera prima, un documentario originale che narra le storie di italiani lontani dalla madrepatria e con una nuova "casa": la Germania.

Uno dei motivi che hanno spinto il regista alla realizzazione del suo documentario è quello di ricordare agli italiani che l'Italia non finisce al Brennero. Tantissimi connazionali vivono con successo all'estero e centomila nella stessa Baviera (ventimila di loro nella sola Monaco), regione che mantiene relazioni privilegiate con il nostro Paese.
Allo stesso tempo Melazzini ha voluto dare la possibilità agli stessi tedeschi di conoscere meglio i loro concittadini italiani e cercare di mettere in luce le difficoltà che si possono incorrere nell'integrarsi in un nuovo Stato.

Cosa ci fa un colonnello dell'esercito italiano tra i monti della Baviera? È uno dei 600.000 italiani che vivono in Germania. Ognuno di loro ha la sua storia, ma in Italia non la conosce nessuno. Nella Repubblica Federale invece questi cittadini acquisiti vengono considerati tra i più integrati. Sono quattro milioni gli emigranti italiani che hanno scelto, dalla metà del Novecento in poi, di cercare fortuna al di là delle Alpi. Molti sono tornati, tanti invece sono rimasti. E se negli scorsi decenni il flusso verso Nord aveva subito un rallentamento, negli ultimi tempi si assiste a una nuova forma di emigrazione. Quella dei tecnici e degli scienziati, che trovano oltre confine migliori condizioni di studio e ricerca. Forse tutti questi destini in movimento hanno tolto professionalità all'Italia. Di sicuro hanno arricchito la Germania, rendendola un po' più dolce e un po' più latina.
Chiunque parli con un monacense prima o poi scoprirà che la geografia inganna. L'Italia infatti non finisce con il Brennero. "Monaco è la città italiana collocata più a Nord" amano ripetere gli abitanti della capitale bavarese. Merito certo delle sue tante reminiscenze architettoniche, ma anche dei suoi numerosi abitanti di origine italiana. Perché se da qualche tempo la Germania è di moda, e Berlino la capitale più trendy del continente, è la Baviera che da sempre mantiene relazioni privilegiate con il nostro Paese. Qui vivono centomila connazionali, ventimila di loro nella sola Monaco.
"Monaco, Italia" è andato a scoprire alcuni di questi destini, trovando tracce di italianità anche nei paesini di provincia dai tetti aguzzi e nei borghi tra le innevate foreste della Franconia.

Claudio guarda le stelle e programma software di controllo per gli strumenti dei telescopi all'ESO di Garching, l'organizzazione europea per le osservazioni astronomiche nell'emisfero australe.
Claudio però non è uno scienziato con la testa tra le nuvole. Presiede infatti il Comites Baviera, il parlamentino degli italiani eletti all'estero, che si occupa dei problemi degli emigrati italiani nella regione più grande della Repubblica Federale Tedesca.
Dopo una laurea in astrofisica è partito subito per la Germania, dove ha trovato non solo un lavoro, ma anche una famiglia. E tuttavia il suo cammino per arrivare davvero a destinazione è durato molto più del tempo trascorso in treno lasciando Trieste.

La famiglia Lando gestisce un circolo di dopolavoro a Landshut, dove Giacomo ha fatto per decenni il carpentiere nelle fabbriche, mentre Giuseppina si occupava di crescere i figli superando il trauma della migrazione dall'Etna alla Baviera. Il loro figlio Salvatore ora è un orgoglioso membro del partito conservatore ed è riuscito a far prendere la tessera anche al padre, che un tempo organizzava scioperi in Sicilia. Per tutti loro l'Italia è il ricordo delle radici, ma anche quello della povertà da cui sono fuggiti.

Mauro prima ha studiato da meccanico d'auto, ora è maestro odontotecnico. La sua passione però è l'associazionismo. Come presidente della A.C.L.I. locale, fondata dal suocero, Mauro ha l'onere e l'onore di organizzare ogni anno la festa di carnevale della parrocchia. Per fortuna lo aiuta sua moglie Venera, assessore per le politiche giovanili di Karlsfeld, il loro comune di residenza. Venera è stata eletta con i voti del partito socialdemocratico, ma quando la giunta ha cambiato colore il partito cristiano-sociale l'ha riconfermata.

Padre Sandro Rossi ha sempre evangelizzato fuori dall'Italia, a Monaco negli anni Settanta, poi in Belgio, Svizzera, Francia e ora di nuovo nella capitale bavarese. Dopo quarant'anni di missione all'estero ora il padre scalabriniano riflette su un suo possibile ritorno in Patria. Perché quella sua Italia che un tempo esportava braccia ora si è trasformata in un paese che a sua volta si trova a fronteggiare il complicato fenomeno dell'immigrazione.

Laura conosceva la Franconia solo grazie ai suoi studi di letteratura tedesca, poi quella regione di boschi e neve è diventata la sua terra. E quando è arrivata si è accorta presto della differenza tra la vita vera e quello che aveva studiato sui libri. Ad aiutarla nell'ambientarsi hanno contribuito l'arte concreta, a cui ha dedicato un museo privato, le passeggiate col cane nelle selve innevate, l'affetto di suo marito e tantissimo pane integrale.

Dalle viuzze di Nola a quelle di Schwabing, il quartiere dell'università e dei locali di Monaco. Qui Maria gestisce una delle trattorie italiane più intime e pazze della città. Parrucche, intuizioni, allusioni e piatti gustosi, questi gli ingredienti dei suoi ricchi menù napoletani. Per Maria i clienti sono il suo pubblico, che lei osserva, ascolta e con il quale gioca, creando ogni sera uno spettacolo in cui la prima a divertirsi è proprio lei.

Roberto ha una grande passione, quella per gli elicotteri. Da bambino li costruiva in miniatura, ora lavora per un ditta che li produce sul serio. All'inizio, per lui che veniva dalle scuole e dalle amicizie italiane, l'incontro con un mondo così diverso è stato piuttosto impegnativo. Ma da buon bergamasco Roberto non ha ceduto, riuscendo infine a diventare quello che ha sempre sognato di essere: un vero ingegnere tedesco.

La guerra Francesco l'ha vista da vicino, nei tanti Paesi del mondo in cui è stato in missione. Ora Francesco, colonnello dell'Esercito Italiano, smessi gli anfibi si è dedicato all'insegnamento, diventando istruttore presso la Scuola Nato di Oberammergau. Qui studenti di sessanta Paesi del mondo vengono a seguire corsi operativi e di formazione. La sua vita da militare è sempre stata un continuo viaggio, che ha reso difficile stabilire amicizie e frequentazioni continuative. Però gli ha permesso di conoscere e apprezzare il mondo, come il lembo di terra prealpina circondato dai monti e dagli abeti dove risiede ora.


REGIA
Alessandro Melazzini
Alessandro ha studiato economia a Milano, poi è partito per la Germania all'inseguimento della filosofia. Prima ha vissuto a Mannheim e Heidelberg, ora abita a Monaco di Baviera, dove lavora come produttore, regista e giornalista freelance. Con il suo lavoro Alessandro cerca di far conoscere ai lettori italiani una nazione, quella in cui ha scelto di vivere, che rimane, nonostante tutto, tra le più sconosciute d'Europa. Da quando Alessandro è espatriato ha scoperto la realtà degli emigrati italiani in Germania, a cui ha voluto dedicare il suo primo documentario. Questo.


http://www.melazzini.com/


MONTAGGIO
Paolo Turla
Paolo ama il cinema e le percussioni, e questo lo aiuta a trovare il ritmo giusto nella sua professione, quella del montatore. Vive a Roma come esperto di comunicazione, ma ogni estate "emigra" volentieri nel mondo per conoscere i tanti posti che gli passano sotto gli occhi durante i mesi di lavoro trascorsi nella sala di montaggio.


http://www.turlaherve.com/


MUSICA
Sebastiano Forte
Sebastiano Forte è un musicista che affianca ai live con varie formazioni l'attività di arrangiatore e di compositore di musiche per il cinema e il teatro. Sebastiano ha all'attivo diversi dischi con i Qbeta, band siciliana con cui ha suonato in prestigiosi festival nazionali e internazionali. Un disco solista con il progetto "Life Emission Dysplay" e le collaborazioni al progetto "Panaphonic" con la Funkyjuice records hanno avuto una distribuzione internazionale e la partecipazione a numerose compilation negli U.S.A., in Europa ed in Giappone. Ha composto musiche per cortometraggi, documentari, pubblicità, presentazioni aziendali, premiate a vari festival, tra cui il documentario "Approdo Italia" di Christian Bonatesta (premio "Ilaria Alpi"). Sebastiano è anche psicologo clinico e arteterapeuta a orientamento psicofisiologico.


www.myspace.com/sebastianoforte


Notizie e proiezioni sulla pagina Facebook del film: - wwww.facebook.com/monacoitalia

lunedì 25 luglio 2011

Strage Norvegia, la fine dell'innocenza

Rivedendo le immagini degli attentati che hanno colpito Oslo e la vicina isola di Utoya, località dove si stava tenendo un meeting di giovani laburisti (partito del premier norvegese Jels Stoltenberg) la prima sensazione che traspare è quella di un paese sotto choc e, ancora una volta, di un’innocenza violata. Stavolta, gli spari e le deflagrazioni cupe del terrorismo hanno squarciato la purezza e la tranquillità tipica di un paese scandinavo: la Norvegia. Una realtà dove, da sempre, civiltà e antiviolenza fanno da sfondo, per antonomasia. Invece, noi tutti dovremo ricordare le parole dette a caldo da un cittadino norvegese, sbigottito dalla tragedia consumatasi ad Oslo: “nessuno è più al sicuro, in qualsiasi posto del globo”. Eppure qualcosa, fin dal primo momento, mi ha suggerito delle similitudini con le giornate di follia che, spesso, si consumano negli States. Istintivamente, ho scartato ogni accostamento dell’accaduto con il più classico degli attentati di matrice islamica. Voglio dire che specie la sparatoria ad Utoya ricorda molto quelle carneficine inverosimili che, periodicamente, si abbattono sui college americani causate, il più delle volte, da studenti in preda a raptus omicidi o dalle visioni di sedicenti santoni. Leader di proliferanti sette capaci di infondere il parassita della più inaudita violenza nella testa di soggetti disperati e di preparare il terreno ad atroci stragi concimandolo con la debolezza di persone labili. Eppure fin dai primi minuti (come non pensare ad Al Qaeda dopo gli attacchi ai paesi occidentali nell’ultimo decennio?) i sospetti erano caduti sui fondamentalisti musulmani. Le prime news delle emittenti private ed il web indicavano una chiara matrice araba. Poco male, purtroppo la sostanza non cambia per ovvie ragioni. Però sono in molti a non ricordare che la Norvegia è tra i pochi paesi che hanno riconosciuto giuste le richieste palestinesi annunciando che, a breve, si schiererà a favore della creazione di uno stato di Palestina. Inoltre, Oslo ha manifestato la volontà di ritirare le proprie truppe dal conflitto libico. Un paese, quello scandinavo, che non sembra possa rientrare nel mirino degli arabi. L’opinione pubblica, però, sebbene da subito sia circolata la voce dell’arresto del responsabile - un uomo bianco, di fattezze nordiche - ha addossato l’attacco contro i laburisti alle violenze solite delle cellule antioccidentali. Il colpevole, stavolta, è un giovane norvegese antisemita, probabilmente di ideologie filo naziste e fondamentalista … cristiano. Già, per la prima volta sentiamo parlare anche di attacchi terroristici perpetrati da estremisti cristiani, sicuramente esagitati, ai danni di una cultura tipicamente tollerante e modernista. Il dato che emerge è preoccupante, più di quanto possa definire una qualsiasi drastica seppur lucida analisi. È un’epoca in cui la guerra subdola e strisciante che si sta combattendo diventa una lotta fratricida, una guerra di religione, peggio, tra due culture - quella occidentale e quella araba - di sicuro tanto differenti quanto fortemente essenziali. Un periodo storico difficile, in cui da una parte la profonda crisi sociale porta avanti disvalori, ansie e paura del prossimo futuro mentre dall’altra emerge una spirale di violenza legata ad un’intolleranza ancestrale che, spesso, s’incontra con il fondamentalismo religioso. Oggi il fanatismo si è installato anche in quell’universo cristiano storicamente caritatevole e misericordioso sebbene non privo di peccati originari e originali. Però, ciò che preoccupa e più stupisce è la fragilità di un paese tanto aperto quanto innocente. La sprovvedutezza e l’ingenuità degli apparati di sicurezza colti totalmente di sorpresa lascia perplessi e il controllo del territorio è sicuramente da rivedere. Ben vengano tolleranza e apertura ma un sistema colpito con estrema facilità dall’ultimo dei fanatici - sebbene il paese abbia subito il primo attentato della sua storia recente - lascia davvero sbigottiti. In particolare, ci si chiede come un singolo individuo abbia potuto eludere ogni impianto di sorveglianza ed agire indisturbato portando a termine il suo diabolico piano. Certo, non è cosa di tutti i giorni girare armati fino ai denti vestiti da poliziotto ed arrivare senza problemi nel luogo - un’isola - dove si sta svolgendo un importante congresso. Bisogna porsi il problema di come l’uomo abbia potuto agire indisturbato sparando all’impazzata tra la folla per più di mezz’ora. Anzi, dopo aver adunato e fatto stendere quei poveri martiri per poi eseguire una vera e propria esecuzione di massa, una mattanza. Il maledetto folle stava pianificando l’azione terroristica dal 2009, un’azione - non c’è dubbio - curata nei minimi particolari. È stupefacente la facilità con la quale il terrorista ha colpito il centro di una città europea quale è Oslo, da solo, piazzando un ordigno che poteva causare molte più vittime e inverosimile è la freddezza e la libertà d’azione nel colpire più di novanta giovani inermi, nell’isola di Utoya. Possibile che ad un meeting così importante che ha radunato tantissimi giovani non vi fosse un servizio d’ordine e di sicurezza capace di disarmare in tempo la follia omicida dell’uomo? I primi minuti dopo l’esplosione, poi, mi hanno fatto riflettere sul fatto che a cambiare non è solo la società occidentale: direi che sta cambiando nettamente proprio la specie umana. Dico scientificamente: in occidente l’homo erectus è stato soppiantato dall’homo tecnologico. Perché in barba ad ogni istinto di sopravvivenza e di pura e naturale paura l’abitante di Oslo è stato attento a filmare accuratamente con il videofonino per poi poter caricare tutto in rete. Di solito, un tempo, davanti ad uno scenario apocalittico quale può essere un attentato, la prima cosa che passava per la testa era l’idea di fuggire o la necessità di dare i primi soccorsi alle probabili vittime. Comunque, prima di sentirsi al sicuro ci si metteva al riparo da eventuali altri attacchi aspettando la bonifica della zona colpita. In quest’ultimo atto di violenza, invece, ha colpito proprio l’impassibilità di coloro impegnati in escursioni itineranti atte ad alimentare la condivisione telematica e la voglia irrefrenabile di filmare gli attimi di terrore e caricare il dolore sul web. La classica pace scandinava è stata scossa dalla Norvegia, dalla sua verginità perduta e non è più così scontata. Il sacrificio di queste giovani vite, però, dovrà servire da monito. Bisogna prepararsi ad affrontare altri attacchi che, spesso, non provengono solo dai paesi islamici. È necessario monitorare i contesti che si trasformano all’interno dei propri confini e cercare di prevenire possibili focolai di antisemitismo e follia xenofoba. Questa è una condizione imprescindibile per la sicurezza di un paese. Occorre un reset per cercare di bloccare le degenerazioni sociali e le deviazioni ideologiche e culturali. C’è un forte bisogno di punti di riferimento solidi ma trasparenti, a volte, però, la velocità moderna di questa pazza corsa verso il nulla non ci dà neanche la lucidità per difenderci dallo squilibrio di un criminale. Quella giornata di sangue innocente, le centinaia di vite spezzate non devono farci sprofondare nell’odio più becero ma ci devono proiettare verso una cultura della non violenza e della tolleranza verso il prossimo sempre più convinta. Oggi siamo tutti un po’ norvegesi, domani dovremo essere tutti un po’ più umani.

Domenico Latino

venerdì 22 luglio 2011

Diario Italiano, il blog dedicato agli italiani nel mondo

La parola “diario” ha origine dal latino diarium, da dies (giorno). La traduzione indica il libro (giornale) in cui si tiene ricordo degli avvenimenti secondo la successione dei giorni. Diario, in spagnolo - seconda lingua più parlata al mondo dopo l’inglese - vuol dire giornale, quotidiano. Diario, pubblicato in rete, è weblog ovvero il blog. “Diario Italiano” è un progetto editoriale che darà voce a tutti gli italiani nel mondo.  L’obiettivo è creare un serbatoio di informazioni da rendere fruibile a tutti coloro che avranno voglia di scoprire le risorse rappresentate dai nostri connazionali residenti all’estero. “Diario Italiano” verrà aggiornato periodicamente e si occuperà dell’Italia fuori dai confini. Si alimenterà delle vostre storie grazie anche al materiale che vorrete inviarci. In effetti, saremo lieti di accettare a mezzo e-mail articoli, documenti, dossier fotografici, inchieste, messaggi, consigli e pareri diretti a migliorare il nostro lavoro. L’invito è rivolto a tutti coloro che pensano di avere una storia interessante da raccontare o un caso importante da segnalare ma, soprattutto, ai colleghi giornalisti, ai ricercatori, ai diplomatici, ai missionari, ai soldati delle Forze Internazionali, agli imprenditori, agli studenti e a tutti coloro che con il loro lavoro tengono bene in alto la bandiera tricolore anche fuori dal Belpaese. “Diario Italiano” non vuole essere il più classico degli strumenti per emigranti malinconici ma vuole raccontare il meglio delle storie italiane, le migliori realtà. Così, per esempio, i traguardi scientifici raggiunti dai nostri ricercatori presso le migliori Università del mondo; le più toccanti missioni di pace e di solidarietà; le scoperte storico - archeologiche effettuate dai nostri studiosi; i traguardi di piccoli e grandi imprenditori; le opere di poeti, letterati e musicisti; l’incessante lavoro diplomatico di chi si trova presso le Ambasciate; le storie di esiliati volontari, di politici affermati di origine italiana ma anche segnalazioni di situazioni negative o di casi degni di nota. Ci sarà anche uno spazio dedicato ai messaggi brevi e alle foto di famiglia da far vedere ai parenti rimasti in Italia e tant’altro. È per questo che invito voi tutti a inviarci articoli, foto, testimonianze e coinvolgere parenti, amici e colleghi a partecipare attivamente alla realizzazione di “Diario Italiano”, il weblog che darà voce agli italiani nel mondo, realizzato dagli italiani nel mondo. Aspettiamo le vostre e-mail restando disponibili per ogni chiarimento. Forza! Forza! Forza! Italiani nel mondo, unitevi! L’Italia ha una grande storia anche fuori dall’Italia!
Domenico Latino